E così ci risiamo. Dopo non so quanti anni, finalmente riesco a rientrare dal Canada in tempo per partecipare al Future Film Festival. Nonostante qualcuno non mi creda, ho effettivamente calcolato precisamente i giorni di ferie in modo da godermi questa grande manifestazione appieno.
Senza troppi fronzoli dunque, torniamo alle tradizioni e vediamo com’è andata. Tutte le proiezioni vengono valutate su una scala che va da 0 su 5 (oscenità inguardabile) a 5 su 5 (eccezionale). Ci tengo a precisare che le valutazioni vanno spesso associate al contesto dell’opera. Una proiezione 5/5 non è necessariamente un capolavoro universale, ma è semplicemente molto valida per ciò che vuole essere.
Introduzione finale, per coloro che non lo sanno. Il Future Film Festival è una manifestazione cinematografica che si svolge a Bologna da ormai diciotto anni. Le proiezioni vengono scelte perchè si distinguono nell’utilizzo dell’animazione (in qualsiasi tecnica) e degli effetti speciali. Il sito ufficiale della manifestazione è www.futurefilmfestival.org.
Il Pre-festival
Il giorno prima del festival è quello in cui tradizionalmente si ritirano gli accrediti. Seguo la manifestazione da molti anni e con grande piacere (nonchè orgoglio bolognese, ammettiamolo) ho sborsato il contributo massimo per ottenere un accredito da Sostenitore Spock. I diritti feudali associati all’essere Sostenitore includono il posto riservato in sala e la possibilità di ignorare la fila, entrambi riconoscimenti che da soli, per quanto mi riguarda, valgono il prezzo dell’accredito.
Lunedi piove a dirotto e contrariamente a quanto successo in altre edizioni, in cui il pre-festival diventava il primo momento di incontro per il gruppo di appassionati che frequento, arrivo a un cinema Lumiere mezzo deserto e ancora in piena fase di allestimento. Recupero il mio badge e torno a casa senza troppe cerimonie.
Le Proiezioni
Evviva si comincia e non solo, tutta la truppa si riunisce. Tanti volti noti (quelli di sempre, ormai!) sia tra gli organizzatori che tra il pubblico. Il nostro gruppo di Sostenitori è immarcescibile e ovviamente si prefigge di vedere TUTTO, come da tradizione.
The Magic Mountain
di Anca Damian, Romania, Francia, Polonia, 2015
3/5 – Interessante odissea di un eroe polacco. L’eccessiva lunghezza inficia la fruibilità.
La prima proiezione di quest’anno è The Magic Mountain, una produzione primariamente rumena/francese che commemora la vita di un eroe polacco (Adam Jacek Winkler) che, determinato a contrastare il comunismo in ogni sua forma, finisce a combattere in Afghanistan con i peshmerga contro l’invasione dei russi. La vita dell’eroe è molto avventurosa e tutte le peripezie per raggiungere il fronte risultano godibili e avvincenti. La storia diventa straziantemente lenta quando l’eroe arriva finalmente a destinazione. La voce narrante francese amplifica la monotonia lasciando lo spettatore con una certa sensazione di sollievo quando finalmente il film finisce.
Dal punto di vista tecnico, animazione mista tra il classico e il digitale con molti spunti tratti da foto opportunamente ritoccate. La voce narrante francese è praticamente l’unico personaggio del film.
Chronicles of the Ghostly Tribe
di Lu Chuan, China, 2016
4/5 – Spassoso Indiana Jones in edizione cinese, con una grattugiata di Resident Evil
Fin dal primo giorno cominciamo con un blockbuster di produzione cinese, condito con tutto ciò di cui c’è bisogno: effetti speciali, canzoni patriottiche (imperdibili, risate assicurate), demoni, poteri magici, buoni e cattivi, eroi improbabili e la Malcapitata di Turno.
Senza voler rovinare la trama, mi limito a dire che la storia gira attorno a questa “tribù fantasma” che vuole manifestare il proprio potere. Per fermarla, un gruppo di coraggiosi soldati cinesi cercherà di capire la sua natura e di interferire coi suoi piani, infilandosi in una serie di avventure (con tanto di inquadrature) che decisamente ricordano gli Indiana Jones dei tempi andati. Scoppiettanti combattimenti finali decisamente ispirati a Resident Evil.
Godibile e spensierato ma attenzione, è parte di una trilogia e questo non è che il primo film. Se non vi piace rimanere in sospeso, aspettate che escano gli altri.
Long Way North
di Remi Chayè, France, 2015
5/5 – Una delicata e appassionante storia di fantasia
In una nevosa San Pietroburgo, una giovane nobile vive nell’ombra del padre, geografo al servizio dello Zar di Russia. Grazie ad alcuni fortuiti ritrovamenti, la ragazza riesce a scoprire il destino del nonno, scomparso con una costosissima nave alla scoperta del Polo Nord. Di fronte al rifiuto degli adulti di ascoltare le sue teorie, si imbarca (letteralmente) in una odissea che la porterà alla maturità e alla crescita.
Questo piccolo capolavoro, animato in maniera assai delicata e graziosa, è una delle migliori proiezioni del festival. Il ritmo avvincente, i toni pastello che ben si sposano con gli scenari glaciali del nord, i personaggi ben caratterizzati e credibili, la colonna sonora maestosa, rendono quest’opera godibile per tutti, grandi e piccini. Imperdibile.
Miss Hokusai
di Keiichi Hara, Giappone, 2015
3/5 – Dissacrante commedia episodica ambientata nel periodo Edo
Nel giappone medioevale del tardo periodo Edo vive Hokusai, mostro sacro degli artisti giapponesi. Raffigurato come un ubriacone squinternato e puttaniere che vive insieme alla figlia (disegnatrice erotica) e ad alcuni strampalati allievi, l’Hokusai dipinto da questo anime non è decisamente quello che si potrebbe definire “rispettabile”. Detto questo, tutti gli elementi della storia, inclusi quelli completamente fantastici, sono in realtà presentati in maniera assai faceta, risultando infine piuttosto piacevoli. Complessivamente funziona, nonostante il periodo Edo sia decisamente un momento storico assai sfruttato e la natura molto episodica della trama non crea nulla di memorabile o profondo.
Questo Miss Hokusai sembra decisamente rivolto alla popolazione giovane del Giappone, spesso tacciata di allontanarsi dai valori tradizionali. La scelta del periodo Edo sembra infatti voler ricordare ancora una volta “quanto eravamo epici in quel glorioso periodo” e questo tipo di produzioni che romanzano quegli anni sono probabilmente ritenute un modo accattivante di presentare i fasti del passato.
Harmony
di Takashi Nakamura, Michael Arias, , Giappone, 2015
2/5 – Polpettone (forse) a basso costo dalle tematiche importanti
Questa proiezione è stata vessata molteplici volte durante il festival da problemi tecnici di ogni tipo che ne hanno pesantemente penalizzato la fruibilità. Per meglio intenderci, ci troviamo di fronte a un anime basato primariamente su dialoghi tra i personaggi che parlano di problematiche molto profonde, come il libero arbitrio e l’invasività dei governi rispetto alla privacy delle persone. Se i succitati temi fossero dibattuti per circa due ore da svariati personaggi che parlano un giapponese non elementare e con i sottotitoli che si guastano di continuo, cosa ne pensereste?
Tralasciando i problemi tecnici, dato che personalmente non ho avuto grandi problemi a seguire la cervellotica trama, Harmony è una occasione mancata. I temi centrali sono veramente interessanti: in un futuro molto vicino l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha installato un chip in tutte le persone per fare in modo che queste restino sempre in salute curandosi adeguatamente. Dei criminali trovano il modo di controllare questo chip per fare avvenire atti orribili. Ovviamente gli eroi di turno cercheranno di sventare questo piano.
Pur essendoci tutte le carte per un anime veramente memorabile, la storia si impantana in dialoghi eterni e poco entusiasmanti, intrisi di considerazioni filosofiche interessanti ma in ultimo tediose poiché in queste due ore (!!!) non succederà pressochè nulla. Peccato.
The Case of Hana & Alice
di Shunji Iwai, Giappone, 2015
5/5 – Le difficoltà dell’adolescenza spingono verso amicizie improbabili
Questa per me è stata la vera chicca del festival, quest’anno. The Case of Hana & Alice è un anime prequel di un altro film live action dello stesso regista, Hana & Alice, del 2004. La visione del film non è in realtà necessaria per comprendere l’anime.
La giovane Tetsuko si trasferisce in una nuova casa e in una nuova scuola a causa dei problemi coniugali dei suoi genitori. Lei rimane a vivere con la madre, scrittrice di romanzi rosa in cui inserisce elementi autobiografici che hanno messo in crisi il suo matrimonio, ma continua a vedere il padre quando può. La scuola risulterà subito un affare turbolento, intriso di bullismo e bugie. A risollevare le sorti di Tetsuko penserà Hana, una vicina di casa eccentrica dal passato torbido. Nonostante le due protagoniste non abbiano molto in comune, queste legano subito stabilendo un rapporto dinamico e divertente che le accompagnerà nelle loro avventure, gettando le basi per ciò che è poi sarà narrato nel film.
Credibile nonché spassosa storia adolescenziale, The Case of Hana & Alice narra in maniera magistrale come sia difficile attraversare l’adolescenza quando tutto è contro di te: i genitori litigano, nessuno ti accetta a scuola e l’amore della tua vita non ricambia il tuo affetto.
The Boy and the Beast
di Mamoru Hosoda, Giappone, 2015
5/5 – Crescere e maturare insieme al proprio “genitore”
Altro anime di altissimo calibro al festival quest’anno, tra l’altro con un valore di produzione decisamente più alto rispetto a quello di Hana & Alice (che però apprezzo di più a causa dell’ambientazione più quotidiana). Un vero peccato che come vincitore del Festival gli sia stato preferito Phantom Boy che, pur apprezzabile, non contiene un messaggio morale forte come quello di questa pellicola.
Un ragazzino appena affidato a parenti che detesta scappa di casa e si perde vicino all’incrocio simbolo di Shibuya, probabilmente il luogo più noto di tutta Tokyo. Perso tra i vicoli, si trova in un mondo parallelo in cui sono bestie antropomorfe a comandare. Il giovane viene subito emarginato poiché le bestie ritengono che gli uomini portino solo guai, ma dopo una certa insistenza diventa l’allievo di un guerriero trasandato e indisciplinato ma dotato di grande forza. Da qui il film assume uno spessore morale che trascende decisamente l’apparente giovalità. Così come il giovane impara a crescere dal guerriero, quest’ultimo capisce come controllarsi e come relazionarsi meglio con sé stesso e con il prossimo.
Non voglio dilungarmi sulla trama poiché l’anime va sicuramente visto per essere goduto, ma sottolineo ancora una volta l’alta caratura morale e il messaggio rivolto ai giovani da questo film. Dopo essersi goduti un paio di ore di allenamenti, combattimenti e smargiassate, si torna a casa con un messaggio chiaro su quanto i figli siano importanti per i genitori e viceversa (trascendendo peraltro la barriera del “genitore biologico” in maniera assai cortese), su come non si smetta di maturare e crescere e su come l’umiltà sia il primo passo verso la saggezza.
Extraordinary Tales
di Raul Garcia, Lussemburgo, Spagna, Belgio, Stati Uniti, 2015
3/5 – Una riproduzione tecnicamente ottima dei racconti di Edgar Allan Poe
Una delle grandi attrattive di questo festival era la nuova opera di Raul Garcia, Extraordinary Tales. Per coloro che non lo conoscessero, l’autore è un famosissimo animatore Disney, responsabile di opere memorabili come Aladdin e il Re Leone. Le aspettative quindi per un lungometraggio di animazione firmato Garcia erano piuttosto alte.
L’idea è molto affascinante: una collezione antologica di cinque racconti di Edgar Allan Poe, animati tutti con tecniche completamente diverse e narrati da grandissimi attori (inclusi scomparsi come Bela Lugosi e Sir Christopher Lee). A tenere uniti i cinque racconti è un dialogo fittizio tra un Poe trasformato in corvo e una sorniona Morte che lo canzona.
Tutto questo sembra entusiasmante, eppure questa non è una pellicola che mi ha lasciato molto. Potremmo dire che è formalmente ineccepibile, con scelte tecniche magari discutibili ma eseguite perfettamente. Nonostante ciò, resta sostanzialmente questo, grande forma ma poco altro. La traduzione delle storie di Poe in forma visiva è molto ben realizzata ma poiché non si tratta nemmeno di un adattamento, non c’è nulla da scoprire: si tratta di “mero bello”.
Apprezzabile, ma così come il film non osa far nulla, non ci si può spingere oltre.
The Empire of Corpses
di Ryôtarô Makihara, Giappone, 2015
2/5 – Confuso e incoerente pasticcio necrotecnofantasy
A fare da contraltare ad alcuni anime eccellenti, ho visto per voi (traducete pure con “mi sono sorbito”) questo brutto groviglio anime, “The Empire of Corpses”.
Grazie alla realizzazione della Macchina di Babbage (la macchina analitica), gli scienziati hanno scoperto come fare risorgere i morti. I resuscitati sono capaci di compiere solo operazioni molto semplici permesse dalla loro programmazione che è gestita dalla gigantesca macchina analitica custodita nella Torre di Londra. Ossessionati dalla possibilità di ricreare il successo del Primo Resuscitato, Frankenstein, i malvagi di turno compieranno esperimenti inumani per creare il solito esercito di non morti con cui conquistare il mondo.
Le premesse di questo anime non sono male, ci sono molti elementi fantastorici (come la macchina di Babbage appunto) che sono resi molto bene e la miscela di questi con personaggi di fantasia come Frankenstein o James Watson ammetto che può esercitare un certo interesse, specie nei nipponofili più profondi che conoscono bene il fascino che certi nomi esercitano sull’immaginario giapponese.
I problemi però, giganteschi, arrivano negli ultimi trenta minuti, dove la trama non solo viene chiusa sommariamente, ma si introducono dal nulla, senza nessun tipo di menzione precedente, strane energie e fenomeni che potremmo definire puramente magici che calpestano tutto l’impianto teorico messo in piedi dal film. Fino a quel momento la storia è un po’ tediosa ma abbastanza interessante poiché coerente con sé stessa. Nel finale la coerenza viene gettata alle ortiche in una festa di esplosioni colorate e dialoghi che non hanno più nessun senso, citando elementi che nulla hanno a che vedere con ciò visto fino a quel punto.
Idea ammettiamo pure interessante, realizzazione che non le fa assolutamente onore. Dal punto di vista puramente tecnico, nulla di particolare da eccepire.
Phantom Boy
di Jean-Loup Felicioli, Alain Gagnol, Francia, 2015
4/5 – Una improbabile storia di supereroi
Veniamo finalmente al film vincitore del Festival, il film di animazione francese Phantom Boy.
La storia è piuttosto struggente. Un bambino malato di cancro viene sottoposto a chemioterapia ed è costretto a vivere in un ospedale in attesa degli esiti della terapia. In questo momento così buio della sua vita scoprirà di avere uno straordinario superpotere: è capace di lasciare il proprio corpo e volare per la città, scrutando effettivamente cosa sta succedendo. Il giovane malato troverà il modo di sfruttare le proprie capacità aiutando un poco ortodosso ispettore della polizia francese che è sulle tracce di un pazzo megalomane che vuole tenere in scacco la città.
Animato con un tratto assai semplice che ricorda molto quello delle matite (sia nelle linee che nei toni di colore), Phantom Boy è una storia godibile ed efficace. Tratta il tema della malattia, gravissima, in maniera estremamente delicata ed indiretta, risultando quindi fruibile anche da un pubblico molto giovane o impressionabile. Nonostante questo, la trama è molto prevedibile ed è su questo punto, secondo me, che Hana & Alice è superiore.
Psiconautas
di Alberto Vàzquez, Pedro Rivero, Spagna, 2015
3/5 – Sanguinoso manifesto contro la droga
Questa pellicola di animazione spagnola è piuttosto impressionante, a dire il vero. Probabilmente mirata a un pubblico di adolescenti che deve essere messo in guardia dai pericoli della droga e di altri vizi, Psiconautas si vanta di una graficità assai cruenta che può non incontrare il favore di tutti. Diciamo che talvolta, è come se qualcuno decidesse di farvi una rassegna basata sulle frasi e le immagini scioccanti dei pacchetti di sigarette.
Fatta questa premessa, veniamo all’opera in quanto tale. Una serie di animali antropomorfi, primariamente conigli e ratti, vive sull’Isola. Un tempo rigogliosa, è ora ridotta a poco più di uno scoglio ricoperto di spazzatura a causa di una catastrofe causata dagli impianti industriali. Gran parte dei ratti vivono nelle discariche, cercando pezzi di rame da vendere, mentre il resto degli animali cerca di vivere una vita “normale” in mezzo a ciò che resta. Il protagonista della storia è Birdman, un uomo uccello con gravi problemi di dipendenza dalla droga che è amato da una giovane coniglietta del villaggio. La giovane, insieme ad alcuni amici, vuole scappare di casa e lasciarsi alle spalle per sempre la vita miserabile dell’Isola, ovviamente portando con sé Birdman, che purtroppo è ricercato dalla polizia.
Come già premesso, la storia sfocia molto rapidamente in una escalation di violenza grafica che sottolinea in maniera estremamente profonda come i lati più oscuri dell’animo, ad esempio la cupidigia, siano resi ancora peggiori dall’assunzione di stupefacenti.
In fin dei conti, non so bene cosa pensare di questo Psiconautas, ma tutto sommato credo che sia apprezzabile. Violenza grafica a parte, mi ha tenuto in ansia per tutto il tempo e il dramma di questi animaletti, solo in mera apparenza “carini”, fa passare immediatamente in secondo piano la scelta fiabesca dei personaggi.
Per quanto riguarda le note tecniche, aspettatevi un tratto aspro e leggermente stilizzato, tagliente, così come l’Isola.
Nowhere Girl
di Mamoru Oshii, Giappone, 2015
1/5 – Allucinante e misterioso dramma psicologico
Purtroppo dal Giappone arriva anche la seconda proiezione peggiore del Festival, la nuova opera di Oshii, Nowhere Girl.
In questo live action attraversiamo le varie fasi di recupero di una giovane studentessa che soffre di DPTS (Disturbo post-traumatico da stress). La prima ora è sconcertantemente enigmatica. La studentessa esegue una serie di azioni, inspiegabili, che “solleticano” lo spettatore. E’ evidente che qualcosa sta succedendo, ma nulla è chiaro. Il quarto d’ora finale chiarisce tutto e mette a nudo l’estrema debolezza di questa opera.
Non volendomi soffermare sui dettagli di trama poiché questo rovinerebbe la visione agli interessati, Nowhere Girl risulta essere un supplizio di settantacinque minuti. Attori che leggono dialoghi assurdi in pose assolutamente plastiche, questa studentessa che guarda nel vuoto e compie azioni che sembrano essere del tutto arbitrarie, le compagne di classe che hanno un ruolo sostanzialmente irrilevante, sono tutti aspetti che sottolineano quanto il tempo sia inutilmente gonfiato. La rivelazione finale comprende un paio di spunti inventivi interessanti (gli unici di tutto il film, a dire il vero) ma non sono assolutamente sviluppati, compiendo un altro errore assai marchiano.
Un vero disastro dai tempi narrativi altamente discutibili e con una rigidità recitativa così posticcia da risultare involontariamente farsesca. Peccato, perchè se fosse stato un corto di circa otto minuti probabilmente sarebbe stato incredibilmente migliore.
April and the Extraordinary World
di Christian Desmares, Franck Ekinci, Francia, Canada, Belgio, 2015
5/5 – Cosa sarebbe successo se l’elettricità non fosse mai stata inventata?
Un’altra produzione francese, un altro piccolo capolavoro: April and the Extraordinary World. L’idea alla base di questo film di animazione è geniale: l’elettricità non è mai stata inventata. Tutto il mondo va dunque a carbone e quando questo termina, tutte le foreste vengono disboscate. In questo scenario steampunk fatto di fuliggine e scienziati misteriosamente scomparsi si sviluppa la trama principale che ruota attorno a una famiglia divisa tra la voglia di creare un mondo migliore e la necessità di non compromettersi moralmente.
La collezione di idee straordinarie associate al “mondo a vapore” è vasta e creativa, la storia è avvincente e poiché è basata su quella che potremmo chiamare “moralità tecnologica” è anche attuale e moderna. Veramente imperdibile, non dico altro.
The Virgin Psychics
di Sion Sono, Giappone, 2015
5/5 – Capolavoro assoluto di puro delirio comico giapponese
Veniamo al vero vincitore del festival di quest’anno, il film giapponese live action The Virgin Psychics. Questa chicca ce l’ha presentata la obbligatoria proiezione notturna che è quella che da sempre propone i momenti più memorabili (tsè, Phantom Boy).
In uno sperduto paesino del Giappone cade un meteorite. Grazie a una serie di coincidenze improbabili che non vi rivelo, alcuni giovani vergini (di ogni sesso) sviluppano poteri psichici alquanto bizzarri. Le loro particolari “abilità”, potranno salvare il mondo prima che questo si tramuti in una massa di erotomani? Se volete la risposta, guardatelo assolutamente.
Prima che cassiate il titolo, ci tengo a precisare che non c’è alcuna pornografia nel film. Si tratta di una commedia basata sul tema dell’erotismo e della predestinazione, girato con pochissimi mezzi e decine di sponsor che, se conoscete un po’ di brand giapponesi, probabilmente riconoscerete anche voi.
Il film è eccezionale per un motivo molto semplice: non solo stabilisce un livello di nonsense elevato fin da subito, ma riesce anche a mantenerlo chiudendo la storia in una maniera non banale. Risate assicurate.
Il pianeta selvaggio
Di René Laloux, Francia, 1973
3/5 – Un classico della fantascienza
Su questo spendo solo due parole. Trattasi di un film di animazione francese del 1973 in stile fumetto. L’inventiva è straordinaria, specie per l’epoca. Gli uomini, ignoranti e primitivi, vivono su un pianeta dominato da una razza gigante e avanzata. Quando un uomo ruberà a uno dei suoi padroni un dispositivo per apprendere, i piccoli ma industriosi cavernicoli porteranno la civiltà del pianeta quasi al collasso fino a creare un nuovo equilibrio.
Ci sono tante trovate interessanti in quest’opera di fantascienza che probabilmente si ispira a sua volta al Pianeta delle Scimmie (1963). Anche lì infatti troviamo la lotta tra oppressi e oppressori che finisce per provocare grandi cambiamenti sociali.
The Ninja War of Torakage
di Yoshihiro Nishimura, Giappone, 2015
3/5 – Ridicola (nonché esagerata) storia di ninja
Tornando alle folli proiezioni notturne del festival, arriviamo a un film di combattimenti ninja esagerato in tutto: toni, effetti speciali e pacchianeria.
Una famiglia di ninja in pensione viene minacciata dal proprio antico clan: devono recuperare una pergamena incantata in modo che la loro ingorda padrona possa trovare un favoloso tesoro. Catturati dai nemici, i ninja decidono di tentare il doppio gioco, trascinando la vicina città in una lotta senza quartiere.
Il film si lascia guardare nonostante i combattimenti siano orchestrati particolarmente male. Per capire meglio di cosa parlo, guardate un film con Bud Spencer. Avete presente i famosi ceffoni di Bud? Ecco, invece di prendere come riferimento quelli, andate a ripescare gli orrendi imitatori di Bud Spencer (vi aiuto, Smith & Coby) degli anni ‘80: il livello dei combattimenti è quello.
Ignorando la parte marziale su cui non si possono avanzare particolari pretese a causa dell’evidente basso budget del film, il resto è intriso di comicità (talvolta volontaria), caricature, momenti memorabili seppur anacronistici (il Pachinko che il sottoscritto ha predetto con un buon mezzo minuto di anticipo) e effetti speciali economici ma efficaci.
Considerato che inclusa nel prezzo del biglietto c’è una dimostrazione gratuita di che efficacia avevano i vari tipi di shuriken, ci troviamo di fronte a qualcosa di assolutamente guardabile.
I racconti dell’orso
di Samuele Sestieri, Olmo Amato, Italy, 2015
0/5 – Tediosa spazzatura spacciata per “poesia” e “arte”
Siamo giunti alla peggiore proiezione del festival, una pellicola polarizzante che alcuni hanno amato e che io personalmente ho odiato visceralmente. Per quanto mi riguarda è spazzatura pura e voglio condividere con voi perchè la penso così.
Questo film italiano, diviso in brevi episodi, ci mostra due enigmatici personaggi: un “monaco” con una maschera da sub a cui sono stati attaccati due pezzi metallici (immagino per dare un sapoere cibernetico) e un ometto completamente coperto da una calzamaglia rossa. L’omino rosso scappa per le foreste, il monaco lo insegue. I personaggi comunicano solo mugulando, quindi non è particolarmente chiaro cosa stiano cercando di “dire”. Finalmente si incontrano e per qualche motivo incomprensibile l’inseguimento termina. I due trovano un orsacchiotto strappato nella foresta: gli innalzano preghiere e organizzano un funerale. Infine, si radunano a prendere il tè in una capanna mentre, finalmente, grazie a Dio e a tutto ciò che è sacro, arrivano i titoli di coda.
Sono sceso maggiormente in dettaglio sulla “trama” di quest’opera perchè è funzionale secondo me a comprenderne la critica. Partiamo dall’aspetto più importante che già ho virgolettato: la trama è sostanzialmente assente, l’evoluzione dei personaggi è incoerente e imperscrutabile. I due si inseguono con caparbietà, manifestando un potenziale contrasto. Quando l’incontro accade… non succede nulla. Perchè? Non è dato saperlo, dato che i personaggi non comunicano in maniera chiara nè hanno mimica dato che sono completamente coperti.
Veniamo al secondo errore colossale che rende questa porcheria un supplizio inguardabile: l’orsacchiotto. Ammettiamo che per coincidenza siderale i due giovanissimi autori di questa pellicola siano effettivamente due maestri dell’arte simbolica. Se così fosse, hanno snaturato completamente la loro opera inserendovi in mezzo una parte del tutto pragmatica come il pellegrinaggio delle preghiere e il funerale. Se al contrario i due sopracitati autori sono dei maestri poeti, hanno annegato completamente la delicatezza del tema (non si chiama forse “I racconti dell’orso”?) in un mare inutile di sofismi estetici: sorbitevi pure sessanta minuti di foreste finlandesi fino a che a un certo punto decideremo di graziarvi con la nostra “arte”.
In entrambi i casi, la mistura non funziona e risulta di una noia letale e insopportabile.
Le immagini delle foreste rivelano una capacità fotografica sapiente ma dai risultati del tutto banali, non c’è nulla che non si possa trovare su una rivista di paesaggi o su qualche stock photo di internet. Non è sufficiente una manciata di bei paesaggi per mantenere vivo l’interesse dello spettatore. Apprezzabile la colonna sonora, anch’essa però insufficiente a combattere il tedio infinito provocato da una pellicola che non sa comunicare e che non sa cosa vuole essere.
Su quest’ultimo tema ho posto una domanda agli autori subito dopo la proiezione. Ero inviperito ma l’atteggiamento umile e pacato dei due giovanissimi autori mi ha fatto optare per una domanda esposta con grande civiltà ma del tutto onesta: “Qual è il senso di questa opera? Abbiamo appena passato ottanta minuti in questa sala. Che cosa abbiamo visto?”.
La loro risposta, che condenso per ovvie ragioni, è che il film ripercorre le tappe di un viaggio in Finlandia che hanno fatto, paese che li ha tremendamente affascinati e che li ha stimolati nella creazione del film strada facendo.
Dopo questa affermazione, tutto mi è apparso molto più chiaro. Questa “opera”, se così vogliamo chiamarla, soffre di una estrema mancanza di progettualità e lo scollamento evidente tra la parte simbolica e quella pragmatica è lapalissiano. Gli autori hanno candidamente ammesso di avere visto l’orso in un supermercato e di averlo comprato d’impulso per vedere “cosa ne sarebbe venuto fuori”.
Ebbene, caro Samuele, caro Olmo, quello che vi è venuto fuori è un pasticcio scombinato, incoerente e in ultimo infinitamente tedioso, che non comunica nulla e non lascia nulla e che in quanto tale non vale pressochè niente. Vi applaudo perchè da giovanissimi siete riusciti a fare un film e a portarlo nelle sale, questo fatto è incredibile, bravissimi. Non vi applaudo perchè nelle sale ci troveremo questa emerita schifezza e non opere più meritevoli.
Alienween
di Federico Sfascia, Italy, 2016
3/5 – Splatter low budget con risate di alto calibro ma problemi di ritmo
Follia notturna finale del festival, uno splatter low-budget di Federico Sfascia, già noto per altre opere a basso costo reperibili su YouTube gratuitamente. La visione di questa pellicola è avvenuta con praticamente tutto il cast in sala.
La storia di base è assai ritrita: gli alieni attaccano la terra e trasformano le persone in mostri disgustosi che uccidono le persone per tramutarle in altri mostri. Un gruppo di amici organizza una festa e ovviamente le cose si metteranno male quando la casa sarà sopraffatta dalle creature.
In questo impianto del tutto telefonato si inseriscono alcune sottotrame abbastanza originali per il genere, come un complicato intreccio romantico tra alcuni dei protagonisti, una relazione assai tossica ed i frequenti interventi di un attempato DJ che ormai ha perso il rispetto del suo pubblico.
Senza rovinarvi la trama, sottolineo subito l’aspetto migliore del film: si ride, tanto, di gusto e bene. La prima metà del film è infarcita di trovate comiche una migliore dell’altra che permettono di ignorare la recitazione talvolta traballante o gli effetti speciali “casalinghi” che costringono i mostri a muoversi con una lentezza eccessiva.
I problemi arrivano tutti dalle sperimentazioni: l’introduzione di una storia drammatica tra più personaggi richiede che questo filone narrativo sia sviluppato. Il problema è che ci si può porre una domanda alquanto legittima: che cosa ci azzecca un drammone strappalacrime in mezzo a una commedia splatter? La risposta è semplice: un bel niente.
Il risultato finale è che nella prima metà del film, si ride moltissimo e il tempo passa tra una risata e un mostro schifoso. Nella seconda metà, quando le trame introdotte devono essere in qualche modo chiuse, si passano svariati minuti senza neanche una risata, dando massima visibilità alla recitazione spesso incerta e alla lentezza immane delle creature, risultando quindi pedanti e noiosi. Si arriva all’assurdo che gli unici momenti godibili diventano i siparietti del DJ, personaggio del tutto accessorio che non ha alcun ruolo nella storia principale, ma risolleva sempre lo spettatore dal tedio del tentato melodramma in atto.
Devo dare atto al regista che è riuscito a fare esattamente il film che si era prefissato di fare, ovvero uno splatter a basso costo, comico ma con elementi drammatici. Devo però rilevare che purtroppo, nel momento in cui si smette di ridere, la contrapposizione emotiva tra i godibilissimi elementi comici e i maldestramente presentati aspetti drammatici è troppo grande perchè possa divertire. Se avesse puntato tutto sulla commedia, specie considerato che le idee molto chiaramente c’erano, sarebbe stato molto meglio.
The Boy
di William Brent Bell, USA, 2016
2/5 – Prevedibilissimo “thriller” all’americana
A chiudere il festival quest’anno è The Boy, thriller americano disponibile nelle sale cinematografiche.
Una tata, in fuga da una relazione burrascosa, viene lautamente pagata da una anziana coppia per badare a loro figlio: una bambola di porcellana. Lasciata da sola a casa con questa bambola, strane cose cominciano a succedere, come se questa fosse viva.
La trama è talmente prevedibile, talmente già vista, che non mi azzardo a dire di più per non rovinare il film agli interessati.
A parte un paio di spaventi ben costruiti da saltare sulla sedia, l’intero film è di una prevedibilità unica, perfino per me che non ho alcun amore per i thriller “orrorosi” come questo. Qui di orroroso non c’è nulla, per il semplice fatto che nulla vi sorprenderà davvero.
Del tutto perdibile.
Tirando le somme
Questo è tutto per le recensioni delle proiezioni che ho visto. E’ stato un buon festival, ci siamo divertiti e ho rivisto tanti amici che non vedevo da moltissimo tempo. Ho perfino avuto per un momento in mano un trofeo incredibile: Giulietta (una delle direttrici del Festival, quella che noi amiamo) aveva perso il suo pass ufficiale. Ovviamente da brava persona che sono gliel’ho reso appena l’ho trovato.
Seguo questo festival da ormai diciassette anni, pur con qualche buco causa trasferimenti oltreoceano, ma è stato come al solito un grande piacere essere presente, anche solo per un pizzico di orgoglio bolognese, accostato alla voglia di reincontrare tante persone care.
Mi riprometto di tentare di venire l’anno prossimo, ferie permettendo, perchè quest’anno ne è valsa senz’altro la pena, seppur il festival avesse un budget non smisurato. A tal proposito, si fa ancora più sentire il contributo monetario dei Sostenitori, obolo che dono con grande gioia, anche se i miei soldi hanno contribuito a mettere in sala anche quella schifezza orripilante dei Racconti dell’Orso.
Ringraziamenti
Chiudo con i conseguenti ringraziamenti in ordine sostanzialmente sparso.
- Tutto il clan degli Shogun, nonché dei Vassalli.
- Tuttavia, colui che gode indirettamente dei poteri feudali degli Shogun, verrà condannato a mangiare GRRRRAAANO per il resto dei suoi giorni!
- L’intramontabile Molin per la sua capacità di pianificare le visioni che ci permette di essere pigri.
- Tutto lo staff del FFF che ci sopporta e asseconda (quasi) tutte le nostre strampalate richieste
- Tutti i direttori e selezionatori del Festival per l’impegno che mettono nel mettere assieme un Festival ogni anno, anche quando il budget è piccolo.
- Giulietta ovviamente in particolar modo per tutto l’affetto che ci dimostra.
- La birra Koelsch dell’osteria del Pratello.
- Sicuramente altra gente di cui mi sono scordato, non lo sto facendo di proposito.
- Non ringrazio ma cito infine il Cinghiale Pazzo che ci chiede sistematicamente se siamo la Giuria, triturandoci poi finemente gli attributi con le sue considerazioni. Finora ti abbiamo risposto di No, ma dall’anno prossimo, ebbene Si, gli Shogun assegnano un premio!