Future Film Festival 2016

Maggio 22, 2016

E così ci risiamo. Dopo non so quanti anni, finalmente riesco a rientrare dal Canada in tempo per partecipare al Future Film Festival. Nonostante qualcuno non mi creda, ho effettivamente calcolato precisamente i giorni di ferie in modo da godermi questa grande manifestazione appieno.

Senza troppi fronzoli dunque, torniamo alle tradizioni e vediamo com’è andata. Tutte le proiezioni vengono valutate su una scala che va da 0 su 5 (oscenità inguardabile) a 5 su 5 (eccezionale). Ci tengo a precisare che le valutazioni vanno spesso associate al contesto dell’opera. Una proiezione 5/5 non è necessariamente un capolavoro universale, ma è semplicemente molto valida per ciò che vuole essere.

Introduzione finale, per coloro che non lo sanno. Il Future Film Festival è una manifestazione cinematografica che si svolge a Bologna da ormai diciotto anni. Le proiezioni vengono scelte perchè si distinguono nell’utilizzo dell’animazione (in qualsiasi tecnica) e degli effetti speciali. Il sito ufficiale della manifestazione è www.futurefilmfestival.org.

Il Pre-festival

Il giorno prima del festival è quello in cui tradizionalmente si ritirano gli accrediti. Seguo la manifestazione da molti anni e con grande piacere (nonchè orgoglio bolognese, ammettiamolo) ho sborsato il contributo massimo per ottenere un accredito da Sostenitore Spock. I diritti feudali associati all’essere Sostenitore includono il posto riservato in sala e la possibilità di ignorare la fila, entrambi riconoscimenti che da soli, per quanto mi riguarda, valgono il prezzo dell’accredito.

Lunedi piove a dirotto e contrariamente a quanto successo in altre edizioni, in cui il pre-festival diventava il primo momento di incontro per il gruppo di appassionati che frequento, arrivo a un cinema Lumiere mezzo deserto e ancora in piena fase di allestimento. Recupero il mio badge e torno a casa senza troppe cerimonie.

Le Proiezioni

Evviva si comincia e non solo, tutta la truppa si riunisce. Tanti volti noti (quelli di sempre, ormai!) sia tra gli organizzatori che tra il pubblico. Il nostro gruppo di Sostenitori è immarcescibile e ovviamente si prefigge di vedere TUTTO, come da tradizione.

The Magic Mountain
di Anca Damian, Romania, Francia, Polonia, 2015

3/5 – Interessante odissea di un eroe polacco. L’eccessiva lunghezza inficia la fruibilità.

La prima proiezione di quest’anno è The Magic Mountain, una produzione primariamente rumena/francese che commemora la vita di un eroe polacco (Adam Jacek Winkler) che, determinato a contrastare il comunismo in ogni sua forma, finisce a combattere in Afghanistan con i peshmerga contro l’invasione dei russi. La vita dell’eroe è molto avventurosa e tutte le peripezie per raggiungere il fronte risultano godibili e avvincenti. La storia diventa straziantemente lenta quando l’eroe arriva finalmente a destinazione. La voce narrante francese amplifica la monotonia lasciando lo spettatore con una certa sensazione di sollievo quando finalmente il film finisce.

Dal punto di vista tecnico, animazione mista tra il classico e il digitale con molti spunti tratti da foto opportunamente ritoccate. La voce narrante francese è praticamente l’unico personaggio del film.
Chronicles of the Ghostly Tribe
di Lu Chuan, China, 2016

4/5 – Spassoso Indiana Jones in edizione cinese, con una grattugiata di Resident Evil

Fin dal primo giorno cominciamo con un blockbuster di produzione cinese, condito con tutto ciò di cui c’è bisogno: effetti speciali, canzoni patriottiche (imperdibili, risate assicurate), demoni, poteri magici, buoni e cattivi, eroi improbabili e la Malcapitata di Turno.

Senza voler rovinare la trama, mi limito a dire che la storia gira attorno a questa “tribù fantasma” che vuole manifestare il proprio potere. Per fermarla, un gruppo di coraggiosi soldati cinesi cercherà di capire la sua natura e di interferire coi suoi piani, infilandosi in una serie di avventure (con tanto di inquadrature) che decisamente ricordano gli Indiana Jones dei tempi andati. Scoppiettanti combattimenti finali decisamente ispirati a Resident Evil.

Godibile e spensierato ma attenzione, è parte di una trilogia e questo non è che il primo film. Se non vi piace rimanere in sospeso, aspettate che escano gli altri.

Long Way North
di Remi Chayè, France, 2015

5/5 – Una delicata e appassionante storia di fantasia

In una nevosa San Pietroburgo, una giovane nobile vive nell’ombra del padre, geografo al servizio dello Zar di Russia. Grazie ad alcuni fortuiti ritrovamenti, la ragazza riesce a scoprire il destino del nonno, scomparso con una costosissima nave alla scoperta del Polo Nord. Di fronte al rifiuto degli adulti di ascoltare le sue teorie, si imbarca (letteralmente) in una odissea che la porterà alla maturità e alla crescita.

Questo piccolo capolavoro, animato in maniera assai delicata e graziosa, è una delle migliori proiezioni del festival. Il ritmo avvincente, i toni pastello che ben si sposano con gli scenari glaciali del nord, i personaggi ben caratterizzati e credibili, la colonna sonora maestosa, rendono quest’opera godibile per tutti, grandi e piccini. Imperdibile.

Miss Hokusai
di Keiichi Hara, Giappone, 2015

3/5 – Dissacrante commedia episodica ambientata nel periodo Edo

Nel giappone medioevale del tardo periodo Edo vive Hokusai, mostro sacro degli artisti giapponesi. Raffigurato come un ubriacone squinternato e puttaniere che vive insieme alla figlia (disegnatrice erotica) e ad alcuni strampalati allievi, l’Hokusai dipinto da questo anime non è decisamente quello che si potrebbe definire “rispettabile”. Detto questo, tutti gli elementi della storia, inclusi quelli completamente fantastici, sono in realtà presentati in maniera assai faceta, risultando infine piuttosto piacevoli. Complessivamente funziona, nonostante il periodo Edo sia decisamente un momento storico assai sfruttato e la natura molto episodica della trama non crea nulla di memorabile o profondo.

Questo Miss Hokusai sembra decisamente rivolto alla popolazione giovane del Giappone, spesso tacciata di allontanarsi dai valori tradizionali. La scelta del periodo Edo sembra infatti voler ricordare ancora una volta “quanto eravamo epici in quel glorioso periodo” e questo tipo di produzioni che romanzano quegli anni sono probabilmente ritenute un modo accattivante di presentare i fasti del passato.

Harmony
di Takashi Nakamura, Michael Arias, , Giappone, 2015

2/5 – Polpettone (forse) a basso costo dalle tematiche importanti

Questa proiezione è stata vessata molteplici volte durante il festival da problemi tecnici di ogni tipo che ne hanno pesantemente penalizzato la fruibilità. Per meglio intenderci, ci troviamo di fronte a un anime basato primariamente su dialoghi tra i personaggi che parlano di problematiche molto profonde, come il libero arbitrio e l’invasività dei governi rispetto alla privacy delle persone. Se i succitati temi fossero dibattuti per circa due ore da svariati personaggi che parlano un giapponese non elementare e con i sottotitoli che si guastano di continuo, cosa ne pensereste?

Tralasciando i problemi tecnici, dato che personalmente non ho avuto grandi problemi a seguire la cervellotica trama, Harmony è una occasione mancata. I temi centrali sono veramente interessanti: in un futuro molto vicino l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha installato un chip in tutte le persone per fare in modo che queste restino sempre in salute curandosi adeguatamente. Dei criminali trovano il modo di controllare questo chip per fare avvenire atti orribili. Ovviamente gli eroi di turno cercheranno di sventare questo piano.

Pur essendoci tutte le carte per un anime veramente memorabile, la storia si impantana in dialoghi eterni e poco entusiasmanti, intrisi di considerazioni filosofiche interessanti ma in ultimo tediose poiché in queste due ore (!!!) non succederà pressochè nulla. Peccato.

The Case of Hana & Alice
di Shunji Iwai, Giappone, 2015

5/5 – Le difficoltà dell’adolescenza spingono verso amicizie improbabili

Questa per me è stata la vera chicca del festival, quest’anno. The Case of Hana & Alice è un anime prequel di un altro film live action dello stesso regista, Hana & Alice, del 2004. La visione del film non è in realtà necessaria per comprendere l’anime.

La giovane Tetsuko si trasferisce in una nuova casa e in una nuova scuola a causa dei problemi coniugali dei suoi genitori. Lei rimane a vivere con la madre, scrittrice di romanzi rosa in cui inserisce elementi autobiografici che hanno messo in crisi il suo matrimonio, ma continua a vedere il padre quando può. La scuola risulterà subito un affare turbolento, intriso di bullismo e bugie. A risollevare le sorti di Tetsuko penserà Hana, una vicina di casa eccentrica dal passato torbido. Nonostante le due protagoniste non abbiano molto in comune, queste legano subito stabilendo un rapporto dinamico e divertente che le accompagnerà nelle loro avventure, gettando le basi per ciò che è poi sarà narrato nel film.

Credibile nonché spassosa storia adolescenziale, The Case of Hana & Alice narra in maniera magistrale come sia difficile attraversare l’adolescenza quando tutto è contro di te: i genitori litigano, nessuno ti accetta a scuola e l’amore della tua vita non ricambia il tuo affetto.

The Boy and the Beast
di Mamoru Hosoda, Giappone, 2015

5/5 – Crescere e maturare insieme al proprio “genitore”

Altro anime di altissimo calibro al festival quest’anno, tra l’altro con un valore di produzione decisamente più alto rispetto a quello di Hana & Alice (che però apprezzo di più a causa dell’ambientazione più quotidiana). Un vero peccato che come vincitore del Festival gli sia stato preferito Phantom Boy che, pur apprezzabile, non contiene un messaggio morale forte come quello di questa pellicola.

Un ragazzino appena affidato a parenti che detesta scappa di casa e si perde vicino all’incrocio simbolo di Shibuya, probabilmente il luogo più noto di tutta Tokyo. Perso tra i vicoli, si trova in un mondo parallelo in cui sono bestie antropomorfe a comandare. Il giovane viene subito emarginato poiché le bestie ritengono che gli uomini portino solo guai, ma dopo una certa insistenza diventa l’allievo di un guerriero trasandato e indisciplinato ma dotato di grande forza. Da qui il film assume uno spessore morale che trascende decisamente l’apparente giovalità. Così come il giovane impara a crescere dal guerriero, quest’ultimo capisce come controllarsi e come relazionarsi meglio con sé stesso e con il prossimo.

Non voglio dilungarmi sulla trama poiché l’anime va sicuramente visto per essere goduto, ma sottolineo ancora una volta l’alta caratura morale e il messaggio rivolto ai giovani da questo film. Dopo essersi goduti un paio di ore di allenamenti, combattimenti e smargiassate, si torna a casa con un messaggio chiaro su quanto i figli siano importanti per i genitori e viceversa (trascendendo peraltro la barriera del “genitore biologico” in maniera assai cortese), su come non si smetta di maturare e crescere e su come l’umiltà sia il primo passo verso la saggezza.

Extraordinary Tales
di Raul Garcia, Lussemburgo, Spagna, Belgio, Stati Uniti, 2015

3/5 – Una riproduzione tecnicamente ottima dei racconti di Edgar Allan Poe

Una delle grandi attrattive di questo festival era la nuova opera di Raul Garcia, Extraordinary Tales. Per coloro che non lo conoscessero, l’autore è un famosissimo animatore Disney, responsabile di opere memorabili come Aladdin e il Re Leone. Le aspettative quindi per un lungometraggio di animazione firmato Garcia erano piuttosto alte.

L’idea è molto affascinante: una collezione antologica di cinque racconti di Edgar Allan Poe, animati tutti con tecniche completamente diverse e narrati da grandissimi attori (inclusi scomparsi come Bela Lugosi e Sir Christopher Lee). A tenere uniti i cinque racconti è un dialogo fittizio tra un Poe trasformato in corvo e una sorniona Morte che lo canzona.

Tutto questo sembra entusiasmante, eppure questa non è una pellicola che mi ha lasciato molto. Potremmo dire che è formalmente ineccepibile, con scelte tecniche magari discutibili ma eseguite perfettamente. Nonostante ciò, resta sostanzialmente questo, grande forma ma poco altro. La traduzione delle storie di Poe in forma visiva è molto ben realizzata ma poiché non si tratta nemmeno di un adattamento, non c’è nulla da scoprire: si tratta di “mero bello”.

Apprezzabile, ma così come il film non osa far nulla, non ci si può spingere oltre.

The Empire of Corpses
di Ryôtarô Makihara, Giappone, 2015

2/5 – Confuso e incoerente pasticcio necrotecnofantasy

A fare da contraltare ad alcuni anime eccellenti, ho visto per voi (traducete pure con “mi sono sorbito”) questo brutto groviglio anime, “The Empire of Corpses”.

Grazie alla realizzazione della Macchina di Babbage (la macchina analitica), gli scienziati hanno scoperto come fare risorgere i morti. I resuscitati sono capaci di compiere solo operazioni molto semplici permesse dalla loro programmazione che è gestita dalla gigantesca macchina analitica custodita nella Torre di Londra. Ossessionati dalla possibilità di ricreare il successo del Primo Resuscitato, Frankenstein, i malvagi di turno compieranno esperimenti inumani per creare il solito esercito di non morti con cui conquistare il mondo.

Le premesse di questo anime non sono male, ci sono molti elementi fantastorici (come la macchina di Babbage appunto) che sono resi molto bene e la miscela di questi con personaggi di fantasia come Frankenstein o James Watson ammetto che può esercitare un certo interesse, specie nei nipponofili più profondi che conoscono bene il fascino che certi nomi esercitano sull’immaginario giapponese.

I problemi però, giganteschi, arrivano negli ultimi trenta minuti, dove la trama non solo viene chiusa sommariamente, ma si introducono dal nulla, senza nessun tipo di menzione precedente, strane energie e fenomeni che potremmo definire puramente magici che calpestano tutto l’impianto teorico messo in piedi dal film. Fino a quel momento la storia è un po’ tediosa ma abbastanza interessante poiché coerente con sé stessa. Nel finale la coerenza viene gettata alle ortiche in una festa di esplosioni colorate e dialoghi che non hanno più nessun senso, citando elementi che nulla hanno a che vedere con ciò visto fino a quel punto.

Idea ammettiamo pure interessante, realizzazione che non le fa assolutamente onore. Dal punto di vista puramente tecnico, nulla di particolare da eccepire.

Phantom Boy

di Jean-Loup Felicioli, Alain Gagnol, Francia, 2015

4/5 – Una improbabile storia di supereroi

Veniamo finalmente al film vincitore del Festival, il film di animazione francese Phantom Boy.

La storia è piuttosto struggente. Un bambino malato di cancro viene sottoposto a chemioterapia ed è costretto a vivere in un ospedale in attesa degli esiti della terapia. In questo momento così buio della sua vita scoprirà di avere uno straordinario superpotere: è capace di lasciare il proprio corpo e volare per la città, scrutando effettivamente cosa sta succedendo. Il giovane malato troverà il modo di sfruttare le proprie capacità aiutando un poco ortodosso ispettore della polizia francese che è sulle tracce di un pazzo megalomane che vuole tenere in scacco la città.

Animato con un tratto assai semplice che ricorda molto quello delle matite (sia nelle linee che nei toni di colore), Phantom Boy è una storia godibile ed efficace. Tratta il tema della malattia, gravissima, in maniera estremamente delicata ed indiretta, risultando quindi fruibile anche da un pubblico molto giovane o impressionabile. Nonostante questo, la trama è molto prevedibile ed è su questo punto, secondo me, che Hana & Alice è superiore.

Psiconautas

di Alberto Vàzquez, Pedro Rivero, Spagna, 2015

3/5 – Sanguinoso manifesto contro la droga

Questa pellicola di animazione spagnola è piuttosto impressionante, a dire il vero. Probabilmente mirata a un pubblico di adolescenti che deve essere messo in guardia dai pericoli della droga e di altri vizi, Psiconautas si vanta di una graficità assai cruenta che può non incontrare il favore di tutti. Diciamo che talvolta, è come se qualcuno decidesse di farvi una rassegna basata sulle frasi e le immagini scioccanti dei pacchetti di sigarette.

Fatta questa premessa, veniamo all’opera in quanto tale. Una serie di animali antropomorfi, primariamente conigli e ratti, vive sull’Isola. Un tempo rigogliosa, è ora ridotta a poco più di uno scoglio ricoperto di spazzatura a causa di una catastrofe causata dagli impianti industriali. Gran parte dei ratti vivono nelle discariche, cercando pezzi di rame da vendere, mentre il resto degli animali cerca di vivere una vita “normale” in mezzo a ciò che resta. Il protagonista della storia è Birdman, un uomo uccello con gravi problemi di dipendenza dalla droga che è amato da una giovane coniglietta del villaggio. La giovane, insieme ad alcuni amici, vuole scappare di casa e lasciarsi alle spalle per sempre la vita miserabile dell’Isola, ovviamente portando con sé Birdman, che purtroppo è ricercato dalla polizia.

Come già premesso, la storia sfocia molto rapidamente in una escalation di violenza grafica che sottolinea in maniera estremamente profonda come i lati più oscuri dell’animo, ad esempio la cupidigia, siano resi ancora peggiori dall’assunzione di stupefacenti.

In fin dei conti, non so bene cosa pensare di questo Psiconautas, ma tutto sommato credo che sia apprezzabile. Violenza grafica a parte, mi ha tenuto in ansia per tutto il tempo e il dramma di questi animaletti, solo in mera apparenza “carini”, fa passare immediatamente in secondo piano la scelta fiabesca dei personaggi.

Per quanto riguarda le note tecniche, aspettatevi un tratto aspro e leggermente stilizzato, tagliente, così come l’Isola.

Nowhere Girl

di Mamoru Oshii, Giappone, 2015

1/5 – Allucinante e misterioso dramma psicologico

Purtroppo dal Giappone arriva anche la seconda proiezione peggiore del Festival, la nuova opera di Oshii, Nowhere Girl.

In questo live action attraversiamo le varie fasi di recupero di una giovane studentessa che soffre di DPTS (Disturbo post-traumatico da stress). La prima ora è sconcertantemente enigmatica. La studentessa esegue una serie di azioni, inspiegabili, che “solleticano” lo spettatore. E’ evidente che qualcosa sta succedendo, ma nulla è chiaro. Il quarto d’ora finale chiarisce tutto e mette a nudo l’estrema debolezza di questa opera.

Non volendomi soffermare sui dettagli di trama poiché questo rovinerebbe la visione agli interessati, Nowhere Girl risulta essere un supplizio di settantacinque minuti. Attori che leggono dialoghi assurdi in pose assolutamente plastiche, questa studentessa che guarda nel vuoto e compie azioni che sembrano essere del tutto arbitrarie, le compagne di classe che hanno un ruolo sostanzialmente irrilevante, sono tutti aspetti che sottolineano quanto il tempo sia inutilmente gonfiato. La rivelazione finale comprende un paio di spunti inventivi interessanti (gli unici di tutto il film, a dire il vero) ma non sono assolutamente sviluppati, compiendo un altro errore assai marchiano.

Un vero disastro dai tempi narrativi altamente discutibili e con una rigidità recitativa così posticcia da risultare involontariamente farsesca. Peccato, perchè se fosse stato un corto di circa otto minuti probabilmente sarebbe stato incredibilmente migliore.

April and the Extraordinary World

di Christian Desmares, Franck Ekinci, Francia, Canada, Belgio, 2015

5/5 – Cosa sarebbe successo se l’elettricità non fosse mai stata inventata?

Un’altra produzione francese, un altro piccolo capolavoro: April and the Extraordinary World. L’idea alla base di questo film di animazione è geniale: l’elettricità non è mai stata inventata. Tutto il mondo va dunque a carbone e quando questo termina, tutte le foreste vengono disboscate. In questo scenario steampunk fatto di fuliggine e scienziati misteriosamente scomparsi si sviluppa la trama principale che ruota attorno a una famiglia divisa tra la voglia di creare un mondo migliore e la necessità di non compromettersi moralmente.

La collezione di idee straordinarie associate al “mondo a vapore” è vasta e creativa, la storia è avvincente e poiché è basata su quella che potremmo chiamare “moralità tecnologica” è anche attuale e moderna. Veramente imperdibile, non dico altro.

The Virgin Psychics

di Sion Sono, Giappone, 2015

5/5 – Capolavoro assoluto di puro delirio comico giapponese

Veniamo al vero vincitore del festival di quest’anno, il film giapponese live action The Virgin Psychics. Questa chicca ce l’ha presentata la obbligatoria proiezione notturna che è quella che da sempre propone i momenti più memorabili (tsè, Phantom Boy).

In uno sperduto paesino del Giappone cade un meteorite. Grazie a una serie di coincidenze improbabili che non vi rivelo, alcuni giovani vergini (di ogni sesso) sviluppano poteri psichici alquanto bizzarri. Le loro particolari “abilità”, potranno salvare il mondo prima che questo si tramuti in una massa di erotomani? Se volete la risposta, guardatelo assolutamente.

Prima che cassiate il titolo, ci tengo a precisare che non c’è alcuna pornografia nel film. Si tratta di una commedia basata sul tema dell’erotismo e della predestinazione, girato con pochissimi mezzi e decine di sponsor che, se conoscete un po’ di brand giapponesi, probabilmente riconoscerete anche voi.

Il film è eccezionale per un motivo molto semplice: non solo stabilisce un livello di nonsense elevato fin da subito, ma riesce anche a mantenerlo chiudendo la storia in una maniera non banale. Risate assicurate.

Il pianeta selvaggio

Di René Laloux, Francia, 1973

3/5 – Un classico della fantascienza

Su questo spendo solo due parole. Trattasi di un film di animazione francese del 1973 in stile fumetto. L’inventiva è straordinaria, specie per l’epoca. Gli uomini, ignoranti e primitivi, vivono su un pianeta dominato da una razza gigante e avanzata. Quando un uomo ruberà a uno dei suoi padroni un dispositivo per apprendere, i piccoli ma industriosi cavernicoli porteranno la civiltà del pianeta quasi al collasso fino a creare un nuovo equilibrio.

Ci sono tante trovate interessanti in quest’opera di fantascienza che probabilmente si ispira a sua volta al Pianeta delle Scimmie (1963). Anche lì infatti troviamo la lotta tra oppressi e oppressori che finisce per provocare grandi cambiamenti sociali.

The Ninja War of Torakage

di Yoshihiro Nishimura, Giappone, 2015

3/5 – Ridicola (nonché esagerata) storia di ninja

Tornando alle folli proiezioni notturne del festival, arriviamo a un film di combattimenti ninja esagerato in tutto: toni, effetti speciali e pacchianeria.

Una famiglia di ninja in pensione viene minacciata dal proprio antico clan: devono recuperare una pergamena incantata in modo che la loro ingorda padrona possa trovare un favoloso tesoro. Catturati dai nemici, i ninja decidono di tentare il doppio gioco, trascinando la vicina città in una lotta senza quartiere.

Il film si lascia guardare nonostante i combattimenti siano orchestrati particolarmente male. Per capire meglio di cosa parlo, guardate un film con Bud Spencer. Avete presente i famosi ceffoni di Bud? Ecco, invece di prendere come riferimento quelli, andate a ripescare gli orrendi imitatori di Bud Spencer (vi aiuto, Smith & Coby) degli anni ‘80: il livello dei combattimenti è quello.

Ignorando la parte marziale su cui non si possono avanzare particolari pretese a causa dell’evidente basso budget del film, il resto è intriso di comicità (talvolta volontaria), caricature, momenti memorabili seppur anacronistici (il Pachinko che il sottoscritto ha predetto con un buon mezzo minuto di anticipo) e effetti speciali economici ma efficaci.

Considerato che inclusa nel prezzo del biglietto c’è una dimostrazione gratuita di che efficacia avevano i vari tipi di shuriken, ci troviamo di fronte a qualcosa di assolutamente guardabile.

I racconti dell’orso

di Samuele Sestieri, Olmo Amato, Italy, 2015

0/5 – Tediosa spazzatura spacciata per “poesia” e “arte”

Siamo giunti alla peggiore proiezione del festival, una pellicola polarizzante che alcuni hanno amato e che io personalmente ho odiato visceralmente. Per quanto mi riguarda è spazzatura pura e voglio condividere con voi perchè la penso così.

Questo film italiano, diviso in brevi episodi, ci mostra due enigmatici personaggi: un “monaco” con una maschera da sub a cui sono stati attaccati due pezzi metallici (immagino per dare un sapoere cibernetico) e un ometto completamente coperto da una calzamaglia rossa. L’omino rosso scappa per le foreste, il monaco lo insegue. I personaggi comunicano solo mugulando, quindi non è particolarmente chiaro cosa stiano cercando di “dire”. Finalmente si incontrano e per qualche motivo incomprensibile l’inseguimento termina. I due trovano un orsacchiotto strappato nella foresta: gli innalzano preghiere e organizzano un funerale. Infine, si radunano a prendere il tè in una capanna mentre, finalmente, grazie a Dio e a tutto ciò che è sacro, arrivano i titoli di coda.

Sono sceso maggiormente in dettaglio sulla “trama” di quest’opera perchè è funzionale secondo me a comprenderne la critica. Partiamo dall’aspetto più importante che già ho virgolettato: la trama è sostanzialmente assente, l’evoluzione dei personaggi è incoerente e imperscrutabile. I due si inseguono con caparbietà, manifestando un potenziale contrasto. Quando l’incontro accade… non succede nulla. Perchè? Non è dato saperlo, dato che i personaggi non comunicano in maniera chiara nè hanno mimica  dato che sono completamente coperti.

Veniamo al secondo errore colossale che rende questa porcheria un supplizio inguardabile: l’orsacchiotto. Ammettiamo che per coincidenza siderale i due giovanissimi autori di questa pellicola siano effettivamente due maestri dell’arte simbolica. Se così fosse, hanno snaturato completamente la loro opera inserendovi in mezzo una parte del tutto pragmatica come il pellegrinaggio delle preghiere e il funerale. Se al contrario i due sopracitati autori sono dei maestri poeti, hanno annegato completamente la delicatezza del tema (non si chiama forse “I racconti dell’orso”?) in un mare inutile di sofismi estetici: sorbitevi pure sessanta minuti di foreste finlandesi fino a che a un certo punto decideremo di graziarvi con la nostra “arte”.

In entrambi i casi, la mistura non funziona e risulta di una noia letale e insopportabile.

Le immagini delle foreste rivelano una capacità fotografica sapiente ma dai risultati del tutto banali, non c’è nulla che non si possa trovare su una rivista di paesaggi o su qualche stock photo di internet. Non è sufficiente una manciata di bei paesaggi per mantenere vivo l’interesse dello spettatore. Apprezzabile la colonna sonora, anch’essa però insufficiente a combattere il tedio infinito provocato da una pellicola che non sa comunicare e che non sa cosa vuole essere.

Su quest’ultimo tema ho posto una domanda agli autori subito dopo la proiezione. Ero inviperito ma l’atteggiamento umile e pacato dei due giovanissimi autori mi ha fatto optare per una domanda esposta con grande civiltà ma del tutto onesta: “Qual è il senso di questa opera? Abbiamo appena passato ottanta minuti in questa sala. Che cosa abbiamo visto?”.

La loro risposta, che condenso per ovvie ragioni, è che il film ripercorre le tappe di un viaggio in Finlandia che hanno fatto, paese che li ha tremendamente affascinati e che li ha stimolati nella creazione del film strada facendo.

Dopo questa affermazione, tutto mi è apparso molto più chiaro. Questa “opera”, se così vogliamo chiamarla, soffre di una estrema mancanza di progettualità e lo scollamento evidente tra la parte simbolica e quella pragmatica è lapalissiano. Gli autori hanno candidamente ammesso di avere visto l’orso in un supermercato e di averlo comprato d’impulso per vedere “cosa ne sarebbe venuto fuori”.

Ebbene, caro Samuele, caro Olmo, quello che vi è venuto fuori è un pasticcio scombinato, incoerente e in ultimo infinitamente tedioso, che non comunica nulla e non lascia nulla e che in quanto tale non vale pressochè niente. Vi applaudo perchè da giovanissimi siete riusciti a fare un film e a portarlo nelle sale, questo fatto è incredibile, bravissimi. Non vi applaudo perchè nelle sale ci troveremo questa emerita schifezza e non opere più meritevoli.

Alienween

di Federico Sfascia, Italy, 2016

3/5 – Splatter low budget con risate di alto calibro ma problemi di ritmo

Follia notturna finale del festival, uno splatter low-budget di Federico Sfascia, già noto per altre opere a basso costo reperibili su YouTube gratuitamente. La visione di questa pellicola è avvenuta con praticamente tutto il cast in sala.

La storia di base è assai ritrita: gli alieni attaccano la terra e trasformano le persone in mostri disgustosi che uccidono le persone per tramutarle in altri mostri. Un gruppo di amici organizza una festa e ovviamente le cose si metteranno male quando la casa sarà sopraffatta dalle creature.

In questo impianto del tutto telefonato si inseriscono alcune sottotrame abbastanza originali per il genere, come un complicato intreccio romantico tra alcuni dei protagonisti, una relazione assai tossica ed i frequenti interventi di un attempato DJ che ormai ha perso il rispetto del suo pubblico.

Senza rovinarvi la trama, sottolineo subito l’aspetto migliore del film: si ride, tanto, di gusto e bene. La prima metà del film è infarcita di trovate comiche una migliore dell’altra che permettono di ignorare la recitazione talvolta traballante o gli effetti speciali “casalinghi” che costringono i mostri a muoversi con una lentezza eccessiva.

I problemi arrivano tutti dalle sperimentazioni: l’introduzione di una storia drammatica tra più personaggi richiede che questo filone narrativo sia sviluppato. Il problema è che ci si può porre una domanda alquanto legittima: che cosa ci azzecca un drammone strappalacrime in mezzo a una commedia splatter? La risposta è semplice: un bel niente.

Il risultato finale è che nella prima metà del film, si ride moltissimo e il tempo passa tra una risata e un mostro schifoso. Nella seconda metà, quando le trame introdotte devono essere in qualche modo chiuse, si passano svariati minuti senza neanche una risata, dando massima visibilità alla recitazione spesso incerta e alla lentezza immane delle creature, risultando quindi pedanti e noiosi. Si arriva all’assurdo che gli unici momenti godibili diventano i siparietti del DJ, personaggio del tutto accessorio che non ha alcun ruolo nella storia principale, ma risolleva sempre lo spettatore dal tedio del tentato melodramma in atto.

Devo dare atto al regista che è riuscito a fare esattamente il film che si era prefissato di fare, ovvero uno splatter a basso costo, comico ma con elementi drammatici. Devo però rilevare che purtroppo, nel momento in cui si smette di ridere, la contrapposizione emotiva tra i godibilissimi elementi comici e i maldestramente presentati aspetti drammatici è troppo grande perchè possa divertire. Se avesse puntato tutto sulla commedia, specie considerato che le idee molto chiaramente c’erano, sarebbe stato molto meglio.

The Boy

di William Brent Bell, USA, 2016

2/5 – Prevedibilissimo “thriller” all’americana

A chiudere il festival quest’anno è The Boy, thriller americano disponibile nelle sale cinematografiche.

Una tata, in fuga da una relazione burrascosa, viene lautamente pagata da una anziana coppia per badare a loro figlio: una bambola di porcellana. Lasciata da sola a casa con questa bambola, strane cose cominciano a succedere, come se questa fosse viva.

La trama è talmente prevedibile, talmente già vista, che non mi azzardo a dire di più per non rovinare il film agli interessati.

A parte un paio di spaventi ben costruiti da saltare sulla sedia, l’intero film è di una prevedibilità unica, perfino per me che non ho alcun amore per i thriller “orrorosi” come questo. Qui di orroroso non c’è nulla, per il semplice fatto che nulla vi sorprenderà davvero.

Del tutto perdibile.

Tirando le somme

Questo è tutto per le recensioni delle proiezioni che ho visto. E’ stato un buon festival, ci siamo divertiti e ho rivisto tanti amici che non vedevo da moltissimo tempo. Ho perfino avuto per un momento in mano un trofeo incredibile: Giulietta (una delle direttrici del Festival, quella che noi amiamo) aveva perso il suo pass ufficiale. Ovviamente da brava persona che sono gliel’ho reso appena l’ho trovato.

Seguo questo festival da ormai diciassette anni, pur con qualche buco causa trasferimenti oltreoceano, ma è stato come al solito un grande piacere essere presente, anche solo per un pizzico di orgoglio bolognese, accostato alla voglia di reincontrare tante persone care.

Mi riprometto di tentare di venire l’anno prossimo, ferie permettendo, perchè quest’anno ne è valsa senz’altro la pena, seppur il festival avesse un budget non smisurato. A tal proposito, si fa ancora più sentire il contributo monetario dei Sostenitori, obolo che dono con grande gioia, anche se i miei soldi hanno contribuito a mettere in sala anche quella schifezza orripilante dei Racconti dell’Orso.

Ringraziamenti

Chiudo con i conseguenti ringraziamenti in ordine sostanzialmente sparso.

  • Tutto il clan degli Shogun, nonché dei Vassalli.
  • Tuttavia, colui che gode indirettamente dei poteri feudali degli Shogun, verrà condannato a mangiare GRRRRAAANO per il resto dei suoi giorni!
  • L’intramontabile Molin per la sua capacità di pianificare le visioni che ci permette di essere pigri.
  • Tutto lo staff del FFF che ci sopporta e asseconda (quasi) tutte le nostre strampalate richieste
  • Tutti i direttori e selezionatori del Festival per l’impegno che mettono nel mettere assieme un Festival ogni anno, anche quando il budget è piccolo.
  • Giulietta ovviamente in particolar modo per tutto l’affetto che ci dimostra.
  • La birra Koelsch dell’osteria del Pratello.
  • Sicuramente altra gente di cui mi sono scordato, non lo sto facendo di proposito.
  • Non ringrazio ma cito infine il Cinghiale Pazzo che ci chiede sistematicamente se siamo la Giuria, triturandoci poi finemente gli attributi con le sue considerazioni. Finora ti abbiamo risposto di No, ma dall’anno prossimo, ebbene Si, gli Shogun assegnano un premio!

Se ce l’hai, te la tieni

agosto 26, 2014

Salve a tutti,

E’ da moltissimo che non scrivo qualcosa ma a questo punto mi arrendo all’evidenza dei fatti. Come sostiene mio cugino, in Canada mi succedono meno cose di pubblico interesse e come noto scrivo soltanto se ho qualcosa di rilevante da condividere. Se aggiungiamo a questo il fatto che qui ho effettivamente una vita sociale, arriviamo rapidamente alla situazione corrente, ovvero ho la possibilità di scrivere qualcosa solo ogni tanto. Non ho ovviamente intenzione di chiudere il blog, semplicemente prendo atto di non avere tempo infinito.

Detto questo, oggi qualcosa di bellissimo da condividere con voi ce l’ho eccome. Sono appena stato in Italia un paio di settimane per le vacanze estive e sono successe alcune cose che sarebbero state divertenti da raccontare, come ad esempio i residui di farina sul mio PC che la polizia tedesca ha scambiato per pericolosissimi esplosivi o il simpatico autobus palermitano che mi ha abbandonato in mezzo alla Basilicata a mezzanotte, ma tutto questo impallidisce di fronte alla fenomenale avventura gastronomica che ho vissuto uno degli ultimi giorni.

Poiché la fine delle ferie si avvicinava, ho proposto a mia madre di organizzare una cena insieme a parenti vari. I nostri ristoranti preferiti non sono disponibili per una serie di ragioni che non hanno molta importanza, perciò decidiamo di prenotare per le 21.30 al lussuoso ristorante La Grigliatonazza di Tristone al Mare, provincia di San Taceppa.

Arrivo con la mia famiglia in leggero anticipo e l’amichevole staff della Grigliatonazza ci accoglie caldamente dopo che ci siamo appropinquati alla sala ristorante. Nessuno era infatti presente all’ingresso del locale, permettendoci di apprezzare al meglio, indisturbati, la raffinata bellezza degli ambienti. In totale siamo in sette e il tavolo riservatoci è in bella vista su una terrazza. Poiché il cielo minaccia pioggia, domando se per caso è possibile spostare un tavolo da due e associarlo a uno di quelli da sei presente sotto un ombrellone, in modo da proteggerci in caso di maltempo. Mi rendo conto ovviamente che a fronte degli zero tavoli presentemente occupati questa richiesta sia difficile da soddisfare, perciò quando ottengo un imbarazzato rifiuto privo di chiara giustificazione non commento e accetto la volontà di quello che si rivelerà un eccezionale cameriere.

Giunti un paio di parenti, uno ha la sventurata idea di chiedere: “Mi scusi, che cosa mi consiglia come primo?”. Che domanda dozzinale, lo sguardo al cielo del cameriere mi sembra del tutto giustificato. Con sommarietà apre il menu a pagina due e porge lo stesso, commentando però che “i primi, la avviso, sono lì solo pro forma, per i turisti tedeschi che proprio li pretendono, ma sa, ha visto il nome del locale, noi siamo specializzati nella carne”.

Mi sento di esprimere solidarietà verso questo cameriere che si trova a dover fare i conti con clienti scellerati che non sanno leggere un menu e ignorano il nome del ristorante.

Con fare noncurante, il cameriere ci informa gentilmente del fatto che anche la pizza non è disponibile questa sera. La scelta insomma può ricadere solo sugli antipasti (il cui soave odore di fritto inebria il locale) e sulla carne, scelta ovvia e doverosa.

Scorrendo il menu, di cui è bene ignorare pagina due (primi), quattro (pizze) e cinque (pizze speciali), notiamo una curiosa caratteristica del locale. “Temporaneamente non siamo in grado di accettare carte di credito”, recita a caratteri cubitali l’ultima pagina. Che strano.

Chiediamo quindi spiegazioni al nostro Cicerone che ci notifica che “c’è cioè ecco un problema non so bene di cambio di ragione sociale allora cioè ecco allora non possiamo avere il bancomat”. Di fronte a questa spiegazione effettivamente un po’ troppo tecnica per i non addetti ai lavori, la nostra ignorante reazione è “ma come, non prendete neanche il Bancomat?”. Mi sono vergognato, credo che il nostro comportamento sia stato davvero inappropriato. Il fatto che tutti i miei parenti del luogo abbiano confermato che il “temporaneamente” di quella frase abbia in realtà carattere permanente non ha reso la mia vergogna minore.

Mentre mio padre decide di scendere in paese fino a Tristone al Mare per ritirare del contante, poichè come tutti noi poveracci non gira in tasca con più di dieci euro, ordiniamo alcuni generici antipasti. Da notare le ottime crocchette di patate della Orogel e la scamorza affumicata del Conad (ma quella Sapori & Dintorni, non la roba economica che si possono permettere tutti).

Arrivano finalmente anche gli altri invitati e si può quindi ordinare il pezzo forte della serata: la carne. La Grigliatonazza si pregia di avere tagli di carne di due tipi: la nostrana Scottona, classico manzo italiano tagliato come tale, e il Black Angus, una razza bovina originariamente scozzese molto mangiata in America che non viene allevata in Italia. Il cameriere si vanta giustamente dell’altissima qualità della carne Black Angus e la consiglia spassionatamente come piatto per veri intenditori.

Io opto per una tagliata di Black Angus da 350 grammi, immaginando di ricevere un pezzo di carne da dodici once. La cottura che scelgo è la media, data la mia fondamentale avversione per il cibo sanguinolento. Mia cugina e suo marito optano per farsi tagliare un pezzo “su misura”: non hanno molta fame quindi propongono un pezzo da 400 grammi, ovvero sette misere once a testa. Ci tengo a precisare che la conversione in once la sto proponendo io per offrire una più completa esperienza gastronomica. Se vogliamo infatti proprio muovere un piccolo appunto a questo altrimenti impeccabile ristorante è la mancanza delle unità di misura “da steakhouse”: se si offrono tagli di carne americani sarebbe credo d’atmosfera avere le misure sia in grammi che in once.

Dopo circa trenta minuti di piacevole attesa, movimentati da un repentino cambio di tavolo causa pioggia con conseguente rilocazione nella elegante sala ristorante interna in legno grezzo della Val Umidazza, il nostro servizievole cameriere presenta il pezzo di carne tagliato su misura: ecco qui, 750 grammi, esattamente come richiesto.

Di fronte allo sconcerto di mia cugina, che ha ovviamente colpa di non avere esplicitamente detto “400 grammi in tutto” sufficienti volte, il cameriere torna in cucina scuotendo la testa tristemente e commentando “oh, capisco… lo taglieremo più piccolo”. La mia solidarietà per quest’uomo non può che elevarsi ulteriormente.

Passiamo un’altra simpatica mezz’ora ammirando gli interni della sala ristorante e scoprendo perché la Val Umidazza è così famosa, la rada pioggia all’esterno del locale sta infatti sprigionando i raffinati odori del legno e il piacevole livello di umidità contribuisce a creare una atmosfera particolarmente confortevole. L’aggiunta poi di luci molto soffuse dona toni romantici alla scena, tali da permettermi di raccomandare la Grigliatonazza per le vostre sortite galanti.

La tagliata che riceviamo è ottima e onestamente indegna del mio ignorante palato da non-intenditore. La cottura a fiamma elevata conferisce infatti alla bistecca una cottura molto uniforme all’esterno. La quasi totale perdita di liquidi avvenuta durante il taglio potrebbe indurre l’inesperto a pensare di masticare cuoio ma questi commenti tradiscono la poca esperienza del cliente. Decorano la bistecca succulenti grani di sale kosher, aggiunti con arte a metà cottura in modo da prevenirne lo scioglimento e creare un raffinato gioco tra la cedibilità della fibra carnosa e la croccantezza cristallina dei grani. Coronano in maniera superba l’esperienza i bocconi da veri intenditori, ovvero quelli terminali del controfiletto. Il sapore dei grumi di grasso presente in queste parti è infatti una nota prelibatezza.

Per concludere piacevolmente questa superba cena possiamo scegliere tra i due lussuriosi dessert: un semifreddo alla noce della pasticceria “Zuccheri Acidi” di Sigolona oppure un tipico gelato di produzione locale. Stremato dalla complicatezza dei nostri ordini (due persone vogliono il semifreddo e tre invece il gelato), il cameriere ci porta troppi semifreddi e pochi gelati, ma il pasto è stato talmente ottimo che una minuscola pecca nel servizio non può in alcun modo incidere negativamente su un trattamento altrimenti faraonico.

E’ giunto il momento del commiato. I centocinquanta euro spesi, rigorosamente pagati senza corrispettivo di una ingiusta, iniqua, tassabile e mi permetto di dire dozzinale ricevuta, confermano come la Grigliatonazza sia un ottimo locale: cibo e servizio ottimi, prezzi popolari.

Prima di uscire decido di fare uso dei servizi. Vengo accolto da una latrina immacolata e di dimensioni faraoniche, con un trono invitante e ben pulito. Attira la mia attenzione il vistoso cartello appeso sopra di esso. In chiare lettere si può leggere “Solo orinare”. Di seguito, a monito dei vigliacchi turisti tedeschi di cui sopra, in perfetto British English, la versione inglese: “Only Urinate”.

Credo che questa sia l’ulteriore conferma che la Grigliatonazza predilige una clientela selezionata e raffinata, di veri intenditori. La gente volgare e dozzinale, che non capisce nulla di cucina, è pregata di andare da un’altra parte. Oppure se ce l’hanno, di tenersela.

ONLY URINATE

Solo per gente di classe

 

Totalitarismo liquido

aprile 2, 2014

Salve a tutti,

E’ un interessante periodo politico quello che sto attraversando in questo momento: qui in Québec ci sono le elezioni politiche il 7 aprile, mentre in Italia tra poco ci saranno le europee.

Delle elezioni del Québec vorrei parlare in un post separato. Oggi invece mi voglio dedicare a un argomento assai delicato su cui, dopo avere letto una quantità di materiale veramente notevole, finalmente ho una opinione precisa: il Movimento 5 Stelle è un terribile disastro politico che porta con sè i semi dei totalitarismi della peggiore specie.

Innanzitutto, patti chiari e amicizia lunga. Commenti incivili, volgari, non argomentati o fuori tema non verranno approvati. Per fuori tema intendo specificamente l’utilizzo di quell’artificio retorico che consiste nel rispondere su un argomento presentandone un altro, tipicamente per mera analogia o confronto paritetico. Oggi parliamo specificamente di M5S, parliamo di Grillo, parliamo della sua base e parliamo delle sue idee. Tutti gli altri argomenti non sono il tema di questa discussione.

Se non siete dotati di sufficiente pazienza, tolleranza, spirito critico o voglia di accettare una opinione diversa dalla vostra, saltate pure questo post. Tra qualche giorno posterò sulle elezioni qui in Québec, vi potrete fare una spensierata risata sui leghisti d’oltreoceano.

Per finire, faccio una premessa che ho fatto decine di volte in altri casi: non sono il depositario di alcuna Verità. Dico solo come la penso io personalmente. Non c’è alcuna pretesa di convincere nessuno.

Ora che abbiamo smaltito le precisazioni d’obbligo, veniamo a noi. Affrontare questo strano fenomeno è molto complesso e non si può fare in maniera molto superficiale. Preciso da subito che non trovo criticabile ogni singolo aspetto del M5S, il mio giudizio deriva da una valutazione globale che farò con voi alla fine.

Sono molteplici gli aspetti da affrontare, per comodità li voglio elencare da subito: Beppe Grillo, la comunità politica del M5S, i regolamenti e l’azione politica. Cercherò di tenere gli ambiti separati ma essendo una realtà piuttosto complessa è prevedibile un certo livello di commistione.

Partiamo dal grande protagonista, Beppe Grillo. Comico di grande successo, fa ridere primariamente perchè è chiassoso e si basa sul quotidiano. Trovate decine di video sulle prestazioni comiche di Grillo, trovo inutile fare un riassunto qui. Negli ultimi anni comincia a trasformare i suoi spettacoli in grandi arene politiche in cui condivide con i suoi spettatori un futuro basato sulle auto ad acqua e altri improbabili ritrovati. Qui avviene la sua prima terribile trasformazione: l’origine del pensiero “politico” di Grillo è proprio qui, costruiamo un futuro migliore basato su… scoperte “scientifiche” talmente incredibili che gli oscuri interessi di non si sa bene chi (massoni, Bilderberg, lobby, di volta in volta il bersaglio è diverso) vogliono assicurarsi che nessuno le possa diffondere.

Inutile dire che c’è un solo termine per definire questa matrice politica: complottista. La partenza non è delle migliori, anzi. Sono disposto a concedere a un comico di fare spettacoli complottisti effervescenti, a patto che chi ne ride si renda conto della loro assurdità e vada quindi a ridere DI Grillo, alla stessa stregua di quanto si farebbe per un personaggio pittoresco come ad esempio il “mago” Otelma.

Il secondo elemento che si mischia al pensiero politico di Grillo è la democrazia diretta attraverso Internet. Il modello di riferimento sembra essere il tanto decantato sistema islandese che ha permesso al piccolo stato artico di provare a dotarsi di una nuova costituzione e di riscrivere sostanzialmente da zero le regole della società. Il tentativo non ha avuto successo per il semplice fatto che documenti giuridici molto complicati come una costituzione non possono essere scritti da una persona qualsiasi, mal’esperimento è comunque assai apprezzabile. Qui si potrebbe aprire il grande capitolo Casaleggio ma, contrariamente a quanto hanno fatto molti altri analisti, scelgo di non toccare l’argomento. C’è poca chiarezza dietro Casaleggio, la sua società e che cosa realmente fa. Ignoriamo pure questa sorta di eminenza grigia e affidiamoci ai fatti.

L’Islanda è un piccolo paese di circa 320,000 persone, ovvero ha la stessa popolazione della mia città d’origine, Bologna. Tramite un processo di collaborazione online molto profondo, questo paese ha provato a dotarsi di una nuova costituzione. I capisaldi di questo processo sono stati l’estrema trasparenza, la visibilità totale di tutte le attività dell’assemblea costituente con tanto di accesso completo a documenti e registrazioni (anche in diretta) delle assemblee. Tutto questo, ripeto, applicabile a una relativamente piccola comunità di 320,000 persone. Il risultato finale non è stato soddisfacente a causa del livello di estrema competenza tecnico-giuridica richiesto dalla stesura di una costituzione, ma il percorso è comunque davvero innovativo.

L’idea di Grillo, unitamente ad alcuni altri concetti presi da altre iniziative online come l’utilizzo dei Meetup, è quella di introdurre questo processo in una comunità di circa 60 milioni di persone come l’Italia, con uno dei tassi di alfabetizzazione digitale più bassi del mondo occidentale. Non voglio qui che mi si taccia di disfattismo. Il mio scetticismo non deriva dalla rassegnazione che “tanto il tasso non migliorerà mai”. No, non è questo il punto. La conseguenza di questo attaccamento alla sacra Rete è che diventa in realtà uno strumento discriminatorio: se non sapete usare la Rete, per Grillo non esistete e non avete alcun diritto (dato che la volontà popolare per Grillo si esercita esclusivamente attraverso la Rete). A causa di questo utilizzo dittatoriale dello strumento non si ottiene affatto una democrazia, ma una oligarchia discriminatoria. In un sistema partecipativo per mezzo fisico infatti (come ad esempio il voto vero e proprio in un seggio elettorale), l’unica azione che l’elettore deve compiere è quella di presentarsi fisicamente in un luogo. Concentrare tutta l’attività politica su Internet, in un contesto in cui la Rete è poco diffusa e male utilizzata, ha come conseguenza la restrizione dell’attività politica a una cerchia ristretta, inevitabilmente la più motivata e quindi con ogni probabilità la più attiva, quando non zelota. In una lettura assai estremizzata, potremmo dire quindi che è un movimento in mano a una minoranza di scalmanati.

Parliamone un po’, di questi “scalmanati”, ovvero la comunità del M5S. Innanzitutto, non sono tutti degli invasati, anzi, la mia supposizione è che i veri zeloti siano una minoranza molto rumorosa che purtroppo ha influenza dominante a causa dell’approccio oligarchico del M5S.

Mi piace pensare che dei nove milioni di elettori M5S, la maggior parte sia fatta da persone del tutto comuni che si sono fatte incantare dalle parole chiave di Grillo: trasparenza, lotta alla corruzione, insoddisfazione verso la classe politica corrente, fine degli sprechi, ricambio generazionale, snellimento burocratico. Sono obiettivi generici e condivisibili che toccano nel vivo un Paese in cui la classe politica ha dimostrato di non essere assolutamente capace di fornire alcuna risposta convincente alla crisi economica, sociale e sopra ogni cosa morale.

Ecco quindi che i giovani professionisti incensurati proposti da Grillo sono improvvisamente simpatici e appetibili. Nessun pregiudicato, solo persone con un passato irreprensibile, scelte a mezzo informatico (parleremo di questo tra poco).

Questa comunità, che secondo la mia opinione è quella “originale” del M5S, ha contribuito a fare del movimento (per favore, risparmiatemi la patetica locuzione MoVimento, una idiozia infantile con lo stesso valore che si potrebbe dare a un ipotetico Partito della Cacca con capolista Alvaro Vitali, non me ne voglia Vitali) una realtà tutto sommato importante a livello locale. Tanti consiglieri comunali eletti, qualche sindaco.

Il successo a livello locale, specie in regioni dove l’amministrazione locale ha sempre funzionato piuttosto bene, si spiega facilmente e non è di certo una conseguenza del modus operandi del M5S: le azioni a livello locale sono molto più concrete perchè inevitabilmente legate al territorio. In altre parole, non sei in Parlamento dove ti puoi riempire la bocca di mille intenzioni che dopo sei mesi (forse) verranno concretizzate da un qualche decreto attuativo scritto da chissà quale tecnico.

Purtroppo per il M5S e per l’Italia, questa base del M5S non è l’unica. Coesistono altre due anime nel movimento, purtroppo chiassose e violente. La prima è quella degli zeloti, la seconda è quella degli estremisti.

Gli zeloti sono alquanto facili da individuare. Hanno fatto del tutto propria la modalità di comunicazione di Grillo. Rifiutano qualsiasi confronto. Si rifugiano costantemente dietro dichiarazioni assolute di generica categoricità, i vari “Basta ka$ta”, “Mandiamoli tutti a casa”, “Siete morti”, “Siete finiti”. Spesso attaccano in maniera volgare. Utilizzano in maniera retorica la distrazione: qualsiasi domanda venga loro rivolta non riceve mai alcuna risposta ma una contro-domanda che ha come oggetto qualcuno o qualcosa d’altro. E’ una forma mentis molto precisa che espone il movimento a facilissime critiche di monopensiero.

La terza frangia della comunità a cinque stelle è quella degli estremisti. Questi sono pochi, quasi tutti di destra e di ispirazione neofascista o in generale autoritaria/totalitaria. Sono i più volgari e soprattutto i più violenti comunicativamente parlando. Prosperano all’interno del movimento per un semplicissimo fatto: nessuno se ne sbarazza. Non vengono redarguiti. Non vengono emarginati. Sopra ogni cosa, Grillo non si dissocia dalle loro idee, causando un pasticcio politico di proporzioni epiche. Evitando di dissociarsi da queste frange incredibilmente violente del suo movimento, innanzitutto attira ulteriori personaggi del genere. Non solo, non sbarazzandosi di questo fardello autoritario implicitamente lo legittima: questo non significa automaticamente che sia daccordo, ma ammette l’esistenza dell’idea all’interno dell’attività politica del movimento. Questo mero fatto è gravissimo. Se volete un assaggio delle viltà che questi personaggi sono capaci di scrivere, vi basta andare sul blog di Grillo, potrete trovare a iosa commenti facilmente identificabili come violenti e oltranzisti.

Non so se l’avete notata, ma ho appena detto una cosa fondamentale per la comprensione del M5S. “Grillo non si dissocia”. Approfondiamo questo punto perchè è importante, ovvero i “regolamenti”. Il M5S ha uno statuto (nonostante si ostini a non farlo passare come tale, anche quello del Partito della Cacca è scritto sulla carta igienica, ma sempre di statuto si tratta) che descrive quali sono le regole del movimento.

Dai meri fatti che si sono svolti di fronte ai nostri occhi in questi ultimi mesi dopo le elezioni, indipendentemente da ciò che lo statuto dice, quello che avviene è che Grillo è il capo politico del movimento. Non è questa fantomatica e indistinta Rete, non è “il popolo”, non è alcuna altra entità imprecisata e indefinita: è Grillo.

Molte decisioni vanno, tecnicamente, prese collegiamente a mezzo digitale, attraverso una parte del sito del M5S (o meglio, del sito personale di Grillo) chiamata assai curiosamente “Sistema Operativo” (locuzione priva di senso nel contesto, opinione professionale). Mi ricollego qui a quanto dicevo all’inizio sull’oligarchia digitale. Si trovano facilmente in Rete decine di immagini che mostrano i numeri di queste votazioni. Quelle che ricevono grandissima attenzione raggiungono numeri (bassi) a cinque cifre. Per la selezione dei candidati alle elezioni europee, ho visto svariate immagini con solo tre cifre. Se confrontiamo questi ordini di grandezza con i famosi nove milioni di elettori del M5S, credo che la mia posizione sulla oligarchia che domina il movimento non sia così tanto infondata.

Tralasciando il fatto che il sito ufficiale del movimento sia il sito personale di Grillo, egli si presenta al mondo come il semplice portavoce del movimento. Di fatto (nonchè a norma di legge, visti gli atti depositati) ne è il proprietario totale ed è qui che si annida l’essenza più dubbia del M5S. Grillo decide quando votare e su che cosa, dato che formula i quesiti. I risultati vengono presentati esclusivamente dal punto di vista numerico, ma non esiste alcun modo per effettuare verifiche. Non mi riferisco a fantomatiche verifiche di terzi, ma più semplicemente a quelle interne a un movimento sano che fa della trasparenza la sua bandiera. Questa trasparenza nei fatti non esiste. Non solo, a causa del controllo assoluto della piattaforma digitale, Grillo è capace di collezionare in maniera precisa e puntuale l’espressione elettorale di tutti gli iscritti che utilizzano il suo sito.

Anche in Corea del Nord dove, si sa, la democrazia è predominante, è possibile votare liberamente. Sulla scheda elettorale il quesito ha forma simile a questa: “Vuoi tu, caro elettore, votare per Giangugliemo Vemochetinculo? SI / NO”. Tutti i coreani possono votare liberamente, tuttavia se si vuole votare No è necessario recarsi in una cabina elettorale apposita “per persone che votano No”.

La totalitarietà del movimento non si ferma al controllo totale del sito da parte di Grillo e del suo staff (ripeto, nel reame Casaleggio non entro nemmeno). Nonostante infatti Grillo sia, a suo dire, solo un portavoce, il M5S è da lui rappresentato ed è soggetto a tutti i suoi diktat.

La rappresentanza è palese, Grillo si è recato da Renzi per discutere della formazione del governo. Non entro neanche nel merito di quella pietosa scenetta, ma la sua sola presenza lo designa come rappresentante del movimento… in violazione del suo stesso regolamento. Non è infatti chiaro chi è che abbia messo Grillo al suo posto. Si tratta senz’altro di un fondatore del movimento, ma questo mero fatto lo autorizza automaticamente a essere la linea guida? Qualsiasi altro rappresentante del movimento deve essere designato, eccetto lui? Questo fatto è assai strano, specie se lo si associa all’altro fenomeno, i diktat.

Dal blog di riferimento infatti, Grillo si scaglia in accorate filippiche contro persone, enti e giornalisti. Di questi ultimi c’è addirittura una lista nera che col fascismo non ha in comune solo il colore. Il dissenso viene sempre marchiato come servile rispetto a un qualche indefinito potere. Alle dichiarazioni non si associano mai fatti precisi ma affermazioni assolute che sembrano quindi vere per rivelazione, costruendo quindi sempre di più il culto personale di Grillo che porta in ultimo all’infervoramento ulteriore dei sopracitati zeloti.

Finora quindi il panorama è questo: abbiamo un movimento politico, contro ogni establishment politico, animato da un personaggio incoerente con sè stesso il cui pensiero politico deriva da radici complottiste e radicali implementate in maniera alquanto autoritaria, seppur mascherate da democrazia diretta. La base è fatta di idealisti, zeloti ed estremisti.

Questo garbuglio che cosa ha prodotto? Finora, un partito intransigente che rifiuta qualsiasi confronto politico perchè ritiene di voler rimanere “al di fuori del gioco politico”. Questo approccio è farsesco per il semplice fatto che la politica è fatta di compromessi e confronti. Rifiutarsi unilateralmente di stare al gioco, operando una semplificazione ideologica brutale quanto inefficace, è segno di immaturità e soprattutto di incapacità di formulare correttamente una linea politica.

E’ questo forse l’aspetto maggiormente responsabile dell’inefficacia più totale del M5S a livello politico: l’assenza di una qualsiasi linea politica. Questo mantra generico del “voteremo di volta in volta” non permette di determinare con precisione quale sia l’atteggiamento politico del movimento, dato che di fatto l’azione politica viene pilotata in toto da Grillo. La fedeltà assoluta dei nominati è l’unico criterio che Grillo sembra avere a cuore, nominalmente “perchè chi viene votato ha sottoscritto di rispettare lo statuto”. Apprezzabile, ma quando lo statuto comincia a contenere clausole vessatorie di nessuna validità, come la proposta penale di 250,000 euro per chiunque sia espulso dal M5S al parlamento europeo, ci si può legittimamente chiedere se lo statuto sia uno strumento di garanzia o sia in verità l’ennesimo strumento di controllo di Grillo verso la propria creatura.

In ultimo insomma, il problema del M5S è l’esistenza di Grillo, un ometto che vuole imporre le proprie regole pur, secondo le stesse, non avendo alcun titolo a farlo. Non c’è nulla di male nel volere più trasparenza nella politica, o nel volere una nuova classe politica che sia più onesta, più sincera, più diretta nella comunicazione, più vicina al proprio elettorato. Ma se il costo di queste conquiste di facciata deve essere il servilismo più totale verso una entità oscura che nessuno ha votato o legittimato, si apre la strada a una cosa sola: il totalitarismo.

A chi di voi sia attivista del M5S, un accorato appello. Sbarazzatevi di Grillo. Ha dato una spinta propositiva e ha indubbiamente spinto tante persone a una partecipazione politica più attiva. Non fatevi abbindolare dai proclami fragorosi di Grillo. Il fatto di avere fondato l’iniziativa non lo rende infallibile, lo rende solo uno come tanti (terminologia che credo vi sia cara). Sbarazzatevi degli estremisti e degli zeloti. Se siete davvero per l’onestà e la trasparenza, ammettete l’esistenza di posizioni diverse dalla vostra e sappiatevi confrontare con chi civilmente può avere esigenze diverse dalle vostre. Questo rifiuto della “politica” in quanto tale è sciocco e non ha alcun senso: lo diceva perfino Aristotele, l’uomo è un animale politico. Siamo milioni, ognuno con idee ed opinioni diverse. Secondo Grillo chiunque non voti per lui è “morto/finito/zombie”, dunque mi permetto di interpretare questo ragionamento come “tutti la devono pensare esattamente come me”. E’ il totalitarismo la nuova democrazia per la quale avete votato?

Non c’è assolutamente niente di nuovo in Grillo, non è affatto il nuovo che avanza. E’ l’ennesimo tentativo di insurrezione popolare imbrigliata. Questa volta non si usa la radio o la tv, si usa la Rete nel modo peggiore possibile, ovvero per incanalare l’odio (verso la “ka$ta”, verso i giornalisti poco graditi, verso i critici, verso chiunque sia “altro” insomma) e per creare una elite oligarchica ciecamente fedele.

Sono fermamente convinto che possiamo fare meglio di così.

Avvisi ai naviganti

febbraio 8, 2014

Salve a tutti,

Oggi parliamo di qualcosa di sottilmente ridicolo che risulterà familiare a chiunque viva qui in America del Nord venendo dall’Europa. Ci tengo a sottolineare il “sottilmente” perché è un aspetto che spesso non si nota, ma quando ci si sofferma per un solo momento sull’assurdità della questione, non si può fare altro che ridere.

Condivido con voi questa assurdità semplicemente raccontandovi come mi è venuto in mente di scrivere questo articolo. Tutto sarà più chiaro molto presto.

Ieri mattina nonostante un brutto raffreddore decido di andare comunque in ufficio. Attraverso quindi la strada, entro nella stazione del metro e, assai seccato, resto imbottigliato in mezzo a una mandria di guardie giurate che stanno trasportando delle scatole probabilmente piene di documenti. Se fossero dei valori non li porterebbero in giro così. Bloccato sulla scala mobile come sono, non posso fare altro che notare i dettagli di questi contenitori.

Sono grigi, hanno un coperchio in cima sigillato su due lati, sono legate con una corda elastica al carrello portapacchi della guardia giurata, esibiscono su un lato le avvertenze. Nulla di strano, potremmo pensare. Ma… aspetta un momento… le avvertenze? Ma di che avvertenze c’è bisogno su una scatola di plastica?

Magari il contenuto è tossico, esplosivo o altrimenti pericoloso? No. Forse mi sono sbagliato ed è una etichetta che riguarda il destinatario? Macché.  Potrebbe essere l’etichetta di servizio della compagnia che si occupa della sicurezza? Neanche.

Ebbene, si tratta di avvertenze contro l’utilizzo improprio della scatola. “Attenzione, non costituisce un gradino. Non esercitare peso non distribuito sulla scatola. Attenzione, non può essere usato come mezzo di natazione.”

Benvenuti nel magico mondo degli avvisi assolutamente strampalati pressofusi sugli oggetti qui in America. Spesso agli amici canadesi sento dire che sono avvertenze per proteggere gli americani dalla propria stupidità, ma credo che una teoria più realistica sia quella secondo la quale gli americani hanno la denuncia per danni facile perciò le compagnie che producono oggetti preferiscono ripararsi scrivendo enormi avvertenze, anche le più balzane. Se ci fosse un’alluvione voi svuotereste un porta documenti per usarlo come barca?

L’avvertenza in assoluto più semplice da vedere è quella sui bicchieri di carta usati per il caffè: “Attenzione, potrebbe contenere bevande calde.”. Geniale! Il sistema dei bicchieri per il caffè tra l’altro è un esempio di standardizzazione ingegneristica di cui solo Starbucks potrebbe essere capace. Il Bicchiere per antonomasia è di due tipi: trasparente e non trasparente. Se è trasparente, non conterrà mai e poi mai bevande calde (è infatti privo dell’avviso!). Se non è trasparente, potrebbe contenere bevande calde ed è quindi dotato dell’apposita dicitura.

A questi possiamo aggiungere altri avvisi bizzarri su oggetti di uso quotidiano, come ad esempio:

“Non è un medicinale” – Scritto sulla versione locale della pastiglia per il mal di gola Benagol

“Non previene la gravidanza” – Scritto su praticamente qualsiasi profilattico

“Spingere per aprire” – Scritto su qualsiasi porta monodirezionale

“Questa confezione contiene abbastanza medicine da danneggiare seriamente un bambino” – Scritto su tutte le confezioni di medicinali. L’avvertenza “tenere lontano dai bambini” spesso manca.

Non so se si nota, ma in generale la tipologia di questi avvisi è sempre del tipo “non è <q.c.>”. Il fatto che siano scritti così avvalora la mia ipotesi dell’americano dalla denuncia facile. Se fossero infatti avvisi scritti “contro la stupidità”, ammettendo pure per assurdo che una cosa del genere sia legale o ci sia qualcuno pagato per inventarsi qualcosa del genere, non dovrebbero richiedere una inferenza per essere tradotti. Se leggi infatti “non è un gradino”, devi pensare al fatto che può essere usato per salirci sopra. Se l’avviso fosse stato scritto semplicemente per evitare incidenti, probabilmente ci sarebbe inciso sopra qualcosa di più sensato come “non camminarci sopra”.

Al contrario, c’è scritto proprio “questo oggetto non è una certa cosa”. Nell’ordinamento giuridico americano esiste una interessante “deformazione” di un concetto che abbiamo anche noi in Italia, l’alia pro alio. Per spiegare in termini semplicissimi, un contratto di vendita affetto da questo vizio “rifila” al compratore un oggetto al posto di un altro. Traducendo dal Latino quindi, si tratta proprio di una cosa al posto di un’altra cosa. Negli Stati Uniti questo ragionamento lo si porta all’estremo. Se un oggetto può essere usato per molteplici utilizzi (“purpose”), a meno che non ci sia un avviso che scarica la responsabilità del venditore verso quegli utilizzi “addizionali”, il compratore è legittimato a utilizzare il bene acquistato in qualsiasi modo. Ne consegue quindi che se qualcuno si fa male utilizzando un oggetto in maniera poco usuale, quest’ultimo può denunciare il venditore poiché gli ha venduto una scatola di plastica su cui non c’era scritto il divieto di usarla come gradino!

Ecco quindi che possiamo spiegare facilmente tutte quelle strane garanzie americane che pressoché universalmente recitano: “Questo oggetto non ha alcuna garanzia implicita o esplicita per un particolare utilizzo”. Questa misteriosa frase non è altro che il modo comune di evitare eventuali denunce per danni.

Che dire, solo Obelix può commentare correttamente la situazione: S.P.Q.A.. Sono Pazzi Questi Americani!

Mai più di tasca nostra

gennaio 14, 2014

Salve a tutti e soprattutto Buon Anno!

E’ un po’ che non scrivo ma sapete bene che sono assai incostante. Ho appena ricevuto le statistiche di WordPress per il 2013 e devo dire che avere scritto solo dieci articoli nell’intero anno mi lascia piuttosto insoddisfatto, sono sicuro che avrei potuto fare di meglio, ma sono stato assai occupato e alla fine le cose sono andate così. Un vero peccato, perché effettivamente ricevo tante email e commenti e credo che voi cari lettori abbiate il diritto di ricevere ciò che chiedete.

Contravvenendo però a quanto ho appena detto, oggi non parlerò di immigrazione, visti, della Norvegia, del Canada, del fatto che il sindaco di Toronto fuma stupefacenti e se ne vanta apertamente in TV o del fatto che pochi giorni fa abbiamo avuto qui a Montreal il giorno più freddo degli ultimi trent’anni (-27, percepita -41. Lo stesso giorno a Winnipeg era più freddo che al Polo Nord. Ebbene si.).

No, oggi vi parlo di qualcosa che mi fa imbestialire. Imbufalire. Inorridire. In ultimo, commiserare il nostro povero Paese.

Mi riferisco alle vicende scioccanti che riguardano l’ennesima bufala taumaturgica: Stamina. Avrei voluto dire medica, ma questo termine non mi pare possa essere utilizzato in tutta questa vicenda.

Faccio una premessa subito, non sono un medico, sono un ingegnere. Per chi vuole leggere una analisi fatta da un medico, suggerisco sempre l’ottimo MedBunker che queste questioni le esamina sempre in maniera assolutamente metodica, qui il collegamento: http://medbunker.blogspot.it/2013/03/cure-con-staminali-litalia-dei-pifferai.html.

Detto questo, non mi lancerò quindi in una appassionata analisi incentrata sull’assurdità di una terapia che per affermazione stessa del suo creatore viene improvvisata e cambiata da turlupinato a turlupinato (giacchè usare paziente sarebbe parimenti inadeguato) risultando quindi irriproducibile e fatalmente non scientifica.

Ciò che invece causa il mio disgusto e la mia delusione è una semplice domanda: “Di nuovo?”. Chi si ricorda il Prof. Di Bella e la sua cura che avrebbe dovuto curare qualsiasi forma di cancro o quasi? No? Ripercorriamo insieme a grandi linee quello che successe (senza troppe pretese di precisione per la verità, badiamo a pochi fatti di base, il resto è solo romanzato), dopodiché torniamo al mio quesito e tiriamo insieme le somme.

Il Prof. Di Bella annuncia di avere scoperto una cura per il cancro praticamente universale, basata su sue intuizioni terapeutiche ispirate probabilmente ad alcuni studi del tutto minori che testimoniano una efficacia in vitro (ovvero in provetta, al di fuori di un corpo vivente) di alcune sostanze. Identifichiamo quindi il primo elemento, la Rivelazione Mitologica. Il nostro Eroe, novello Prometeo, riceve dagli Dei un dono.

Alla richiesta di presentare cartelle cliniche e studi di supporto per questa innovativa terapia, il Di Bella decide di arroccarsi, diffidando dei poteri forti come il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità. Ecco quindi il secondo elemento, l’Eroe ha un Antagonista estremamente potente dal quale rifugge senza alcun motivo specifico. Se davvero avesse le prove della cura per il cancro, perché mai vorrebbe nasconderle? Mi viene da pensare che o non l’ha scoperta o la tiene nascosta per lucrarci sopra. Nel primo caso è un ciarlatano, nel secondo caso un individuo abietto. Ma nella nostra ricostruzione lui è l’Eroe, quindi ammettiamo pure che egli sia bello e buono, nella migliore tradizione greca.

L’Opinione Pubblica si muove incantata dalle parole melliflue dell’Eroe: tanti sono incantati dalle guarigioni miracolose, dalle testimonianze strappalacrime, dalla speranza rediviva di guarire da una malattia terribile e incurabile. Ecco quindi che nonostante il parere scettico di molti scienziati, interviene l’onnipotente Magistratura che a colpi di perizie giurate impone la somministrazione della cura e non solo, apre la porte alla Sperimentazione.

Ecco, finalmente, il Vello d’Oro, la Sperimentazione, il sacro processo di ufficializzazione della medicina. L’Eroe è ormai alle porte dell’Olimpo, ha ottenuto il suo scopo, eseguire i suoi test a totale costo del malvagio Stato che nulla vuole se non nascondere questa miracolosa pozione magica ai suoi cittadini.

La Sperimentazione comincia e viene interrotta dopo poco tempo: nessuno dei coinvolti migliora, alcuni decedono, altri peggiorano. L’Eroe strepita, i druidi assunti dal malvagio Stato non hanno seguito la formula magica perfettamente e così facendo hanno invalidato i test. Si lamenta perfino che qualcuno ha falsificato la procedura, scatenando l’ira dei solerti magistrati che lo condannano per diffamazione.

Continuano le urla e gli strepiti, ma il giudizio è finale e definitivo: i benefici osservabili dalla formula taumaturgica Di Bella sono assimilabili in tutto e per tutto all’effetto placebo. Un effetto potente, ma basato sull’illusione e non è certo l’inganno a poter reggere l’arte medica.

Finisce così la saga di Prometeo Di Bella, muore in veneranda età noto in Italia come “genio inascoltato” secondo i figli (che ora frequentano pregiati forum e convegni di complottisti, ufologi e simili imbonitori). Qui in Canada è categorizzato sotto i Quacks (“ciarlatani”) all’unanimità. Hanno addirittura festeggiato quando una clinica dibelliana nel quartiere italiano di Toronto è stata chiusa per truffa.

Quindi tornando alla realtà dei fatti, col Prof. Di Bella abbiamo una terapia basata vagamente su una intuizione di effettivo carattere scientifico ma non solo del tutto non dimostrata ma anche completamente non documentata. Periti ed esperti hanno esaminato le cartelle del Di Bella trovandole incomplete, illeggibili, mal redatte, impossibili da decifrare o da inquadrare in uno studio di qualsiasi serietà. Senza contare che di tutti i casi medici effettivamente documentati non si ha alcuna traccia delle decine di centinaia di casi che questa “terapia” sostiene di avere guarito. Tutto questo pasticcio ovviamente, a spese nostre. Perizie, tribunali, sperimentazioni, laboratori dell’esercito per la produzione di farmaci.

Sono passati non so quanti anni e ci risiamo. La storia è pressoché identica, stavolta forse ancora più becera perché la base scientifica manca del tutto. E’ incredibile il livello di somiglianza con la storia Di Bella e la cosa che mi fa imbufalire è che ancora una volta stiamo vivendo la nostra piccola riedizione di Prometeo.

Il Prof. Vannoni è un docente (o meglio era, mi pare abbia perso la cattedra qualche giorno fa) di psicologia della comunicazione. Affetto da una emiparesi facciale qualche anno fa, va in Ucraina dove in una grotta remota, due alchimisti ucraini gli somministrano la Pozione Staminale. Grazie a questo miscuglio miracoloso, egli comprende il segreto del Tutto e dell’Universo: la pozione può curare malattie neurodegenerative gravissime. Questa intuizione è ovviamente più che legittima, dall’alto delle sue profondissime conoscenze mediche infatti, egli può determinare l’immediata somiglianza tra la sua emiparesi di carattere virale e le malattie di cui sopra. Ecco dunque la Rivelazione Mitologia, Prometeo Vannoni ha trovato il sacro fuoco.

Il nostro Eroe torna quindi in patria e comincia a somministrare la sua pozione alchemica a pazienti, senza alcuna remora, sapendo di essere nel giusto. Vanta decine di successi, al punto che grazie a questi clamorosi successi riesce a entrare in una struttura pubblica, gli Spedali di Brescia. Tutto sembra andare per il meglio finché i malvagi Antagonisti di Di Bella non tornano in scena: il malvagio Ministro e il depravato Istituto non vogliono che si scopra la pozione magica e ne ordinano quindi la sospensione immediata.

Ecco anche qui quindi che si mobilita l’Opinione Pubblica, in questo caso spinta da un modesto cabaret d’opinione pornografica tal “Le Iene”, commossa per le immagini di decine di fanciulli morenti curati miracolosamente dalla pozione. O così sostiene l’Eroe. L’onnipotente Magistratura non può ovviamente stare zitta di fronte a questo scempio. E’ assolutamente necessario intervenire, chi ha cominciato ad assumere l’intruglio taumaturgico ha il diritto di portare a termine il trattamento!

Questo sfonda le porte per la conquista del Vello d’Oro anche per Prometeo Vannoni che finalmente approda alla Sperimentazione: è finalmente il momento di dimostrare alle spese del cittadino quanto la sua cura sia geniale ed efficace. Differentemente da Di Bella però, Vannoni raggiunge il suo limite. Si scopre infatti Icaro con le ali di cera e casca in mare di fronte all’ostacolo più insormontabile: la standardizzazione. Inutile il suo appello alla variabilità dei trattamenti e al fatto che la pozione sia “aggiustata” alla bisogna, caso per caso. Futile il tentativo di spiegare che per ogni singolo caso la sua squadra di esperienza ormai ventennale aggiusta i risultati in modo da ottenere “la miscela giusta”.

E’ tutto inutile, il Vello d’Oro viene chiuso di nuovo nel suo sepolcro. Il Ministro vince ancora una volta: la pozione magica è priva di qualsiasi fondamento scientifico e Prometeo Vannoni non è riuscito a fornire alcun tipo di documentazione sufficientemente formale da definire con rigore e precisione quale sia il “metodo”.

Torniamo a noi. Queste due storie, che qui ho raccontato davvero in burletta e in maniera del tutto approssimativa ma sottolineando le tappe significative, sono assolutamente simili e in maniera drammatica. Abbiamo una persona singola, voce fuori dal coro, che presenta una cura per malattie gravissime, spesso incurabili. Questo è semplicemente un fatto, non è né positivo, né negativo.

La cura presenta in entrambi casi caratteristiche singolari che per qualche motivo la rendono “difficile da dimostrare”. Non ci sono cartelle cliniche. Non ci sono studi scientifici che presentino il fenomeno o se ci sono hanno importanza talmente minuscola da non poter essere presi in sufficiente considerazione. A domande di chiarimenti, le risposte sono evasive, i rimandi sono sempre alle testimonianze, del tutto soggettive, di genitori e familiari. In alcuni casi addirittura si strumentalizzano i bambini.

Si crea una polarizzazione immediata o quasi tra comunità scientifica, italiana e internazionale e comunità, diciamo “alternativa”, a supporto della nuova teoria. La comunità scientifica fa quello che fa da quando esiste il metodo scientifico. Chiede esperimenti riproducibili, sistematici, dimostrabili, falsificabili (ovvero che si possano dimostrare come falsi, non che si possano fingere, è un principio della scienza). Lo fa senza urlare, con calma. La risposta che arriva è sempre disordinata, polemica, aggressiva o difensiva come serve. Si introduce sempre qualche elemento di complotto, tipicamente o il governo o “gli interessi delle case farmaceutiche”, entrambi elementi piuttosto assurdi dato che nel primo caso si guadagnerebbe gloria eterna per avere concesso la guarigione di una malattia incurabile e nel secondo caso si incasserebbero miliardi nella vendita della cura. Tutti aspetti da personalità paranoide, se mi posso permettere un giudizio che non sono affatto professionalmente autorizzato a dare. D’altra parte se Vannoni si occupa di cellule staminali senza essere medico, credo tutto sommato di avere il diritto di dire la mia.

I media strumentalizzano ad arte la notizia. Chi non si commuoverebbe nel vedere i toccanti servizi delle Iene, accuratamente montati per dare il massimo risalto mediatico a Vannoni? Chi non sarebbe a favore di una cura come quella di Di Bella in cui decine di testimonianze giurano di essere guarite miracolosamente grazie al suo magico cocktail? I peggiori giornalisti d’Italia, vergogna del Paese, cavalcano quindi l’onda e spingono famiglie disperate ad abboccare all’amo di questi tristi venditori di sogni. Questo è un aspetto dolorosissimo di queste storie di ciarlatani tutti italiani. Ci sono famiglie che soffrono per la malattia di un loro caro che costringe l’una a una vita difficile, l’altro alla pietà altrui. Bisogna avere rispetto per tutte queste persone e comprendere come la benché minima, microscopica, irrazionale speranza, possa accendere un ardore che non ha confini, al punto da difendere fino all’inverosimile la fantasia perversa e criminale dei ciarlatani (v. persone come il sig. Tullio Simoncini, date un’occhiata a medbunker di cui sopra per saperne di più).

E’ proprio su questo punto che falliamo come Paese. Non si può, e ripeto, non si può, far pagare alla collettività l’emotività di questi momenti. Non può essere la collettività a pagare per la sperimentazione di una teoria balzana. Non può essere la Magistratura, che sulla scienza di certo non ha competenza, con una perizia fatta da chissà chi, a imporre cure mediche. Può vietarle perché insicure o non verificate, ma non le può ordinare. Può essere un magistrato a dare una sorta di placet scientifico? Dubito. Possiamo rallegrarci del fatto che questa allucinazione collettiva chiamata Stamina non verrà sperimentata a spese del cittadino, specie ora che stanno emergendo tutti gli illeciti commessi in questi anni da Vannoni e i suoi complici, ma è davvero così? E se Vannoni questi protocolli li avesse presentati in tempo? La sperimentazione sarebbe partita?

A questo ritmo, tra dieci o quindi anni avremo un nuovo ciarlatano che ci dirà che l’urina di mucca se bevuta quattro volte al dì prima dei pasti cura l’AIDS. Ci sarà qualcuno che colpito da dramma personale senz’altro difenderà a spada tratta questo metodo. Volete sperimentarlo?

Fate pure. Ma…

MAI PIU’ DI TASCA NOSTRA.

Che tutti i soldi sprecati siano dati alla ricerca, quella vera. Alle famiglie affette da drammi, il nostro affetto ma nessuna illusione e nessuna presa in giro, questo è il rispetto che si meritano. Non di essere truffate e spremute fino all’ultimo euro da ciarlatani criminali senza scrupoli.

Norvegia e Canada a confronto: Seconda Parte

ottobre 29, 2013

Salve a tutti,

Mi sono arrivate davvero tante domande in seguito al popolare articolo di confronto tra Norvegia e Canada, perciò ne scrivo un altro in cui tratterò dei temi che non ho affrontato la volta scorsa.

Questa volta il formato dell’articolo sarà differente in quanto voglio rispondere a domande specifiche ricevute da voi lettori. Ho deciso di condensare infatti le richieste di chiarimenti in generiche domande che spero permettano di ben identificare le informazioni che alcuni stavano cercando.

Prima di cominciare ripeto, come farò ad infinitum, la solita introduzione. Tutto quello che leggete è frutto di esperienze personali che come tali sono totalmente soggettive. Non c’è alcuna pretesa o garanzia di essere precisi ed esatti in tutte le affermazioni, così come non c’è alcuna volontà di diffondere un qualche generico Sacro Verbo. Se siete in un momento della vostra vita in cui siete alla ricerca di una nuova terra in cui vivere, vi incoraggio a farvi una vostra opinione: non prendete per oro colato la prima sciocchezza (e qui ne troverete tante, come noto) che leggete su un blog.

Detto questo, via alle domande!

Domanda: Come funziona il sistema dei monopoli?

Risposta: Sia in Norvegia che in Canada l’alcool è sotto controllo statale, anche se in maniera piuttosto diversa. Per quanto riguarda la Norvegia, l’alcool è sottoposto a tasse molto ingenti come disincentivo verso l’alcolismo, problema sociale di cui gli stati scandinavi soffrono particolarmente. Al supermercato potrete trovare una varietà di alcolici a bassissima gradazione (circa 3%), ma se volete qualcosa di più forte dovrete andare ai monopoli di stato, ovvero il Vinmonopolet (in Svezia giusto per riferimento si chiama Systembolaget invece). Lì potrete, a prezzi estremi, comprare alcool di qualità da ogni ragionevole parte del mondo. Gustare del buon vino è un passatempo estremamente caro in Norvegia, motivo per cui sono prodotte in grandi quantità le “ice beer”. No, non si tratta di gustose birre artigianali che hanno il ghiaccio come componente o che lo usano come parte del processo di produzione: sono birre scadenti per stessa ammissione di chi le produce ma che vanno gustate estremamente fredde (ghiacciate, appunto) per annullare il sapore e sbronzarsi comunque. Su tutti gli alcolici si paga il vuoto a rendere (il famoso Pant di cui ho già parlato) e in genere vale la pena riscuoterlo.

In Canada invece l’alcool è regolamentato ma non tanto quanto in Norvegia, tuttavia premetto che conosco con precisione solo la situazione del Québec. Non sono al corrente di come funzioni nelle altre province. Al supermercato potrete trovare una selezione di alcolici dai prezzi accettabili ad eccezione della birra che è sempre particolarmente economica, almeno per quanto riguarda le marche commerciali. Se volete una selezione più ampia e dei prezzi migliori dovrete invece recarvi al SAQ, i monopoli canadesi, dove troverete spesso ciò che cercavate ma a un prezzo direttamente proporzionale alla quantità di alcool. Il vuoto a rendere è talvolta incluso ma essendo il reso di soli cinque centesimi per pezzo, non vale assolutamente la pena tenere da parte i vuoti.

Domanda: Come si socializza?

Ho ricevuto molte domande sulla sfera sociale quotidiana e proverò a rispondere meglio che posso. La premessa sulla soggettività di tutto ciò che scrivo è estremamente importante in questo caso, non posso certo dirvi io come vivere la vostra vita.

In Norvegia per quanto ho visto uno dei modi migliori di socializzare consiste nel partecipare a una bevuta collettiva in un qualsiasi bar o pub della città in cui vi trovate. I norvegesi sono cortesi e riservati, non amano in generale lanciarsi in rischiose e imbarazzanti avventure sociali… tranne quando bevono. Qualche drink infatti scioglierà anche il norvegese più adamantino e loro, conoscendo questa caratteristica, si trovano a proprio agio proprio in questi frangenti. Offrite qualche drink in un locale e vi riempirete di amici. In questo tipo di esperienza è fortemente raccomandato o girare con qualcuno che parla norvegese o preferibilmente parlarlo, perchè se non lo fate la vostra capacità di inserirvi nel tessuto sociale sarà molto limitata.

Il Canada è molto più complicato, perchè è un pot pourri di razze e tradizioni. In aggiunta a questo, siamo in Nord America dove occasioni mondane come grandi feste pubbliche (sia in parchi che in locali) sono assai comuni e sono usate per socializzare. Perfino andare allo stadio è in realtà una scusa per conoscere persone, complice anche la enorme quantità di pause durante l’evento sportivo. Differentemente quindi dalla Norvegia dove, con fortissima banalizzazione, si potrebbe quasi dire che pagare un drink a qualcuno ti dà una buona chance di farci due chiacchiere, in Canada la situazione è talmente variegata da richiedere una operazione di categorizzazione che probabilmente non sarebbe neanche utile. Preferisco riassumere invece in maniera molto più semplice: in Canada avrete la possibilità di partecipare a una grande varietà di occasioni in cui socializzare fa parte dell’intento. Ne consegue che una maggiore esposizione a questi eventi (siano essi concerti, bar, feste, parchi, stadi, ristoranti, club, teatri) vi favorirà statisticamente.

Domanda: E’ facile trovare un partner?

Altra domanda frequente sulla sfera sociale riguarda i partner. Per rispondere tocca fare alcune generalizzazioni alquanto brutali, non me ne vogliate.

Per come la vedo io, il “problema” principale che avrete in Norvegia è quello della lingua. Se non parlate norvegese, dovrete trovare una persona che sia disposta ad avere una relazione in un’altra lingua, diciamo in inglese. Non c’è nulla di sbagliato o problematico in questo, ma vi troverete di fronte a una restrizione del campo dei partner probabili. E’ vero che praticamente tutti i norvegesi parlano inglese ma non tutti sono entusiasti di parlarlo sempre: voi vorreste parlare una lingua straniera a casa vostra? Ci tengo a precisare che conosco tante coppie miste ma le storie felici hanno invariabilmente visto “l’altro” imparare il norvegese e trasferirsi in Norvegia. Se questo non fa per voi, prevedo complicazioni.

In Canada invece non avrete tanto il problema della lingua (forse in Québec un po’) quanto quello della mutabilità dei rapporti. In Nord America in generale, ancora eseguendo una generalizzazione probabilmente grossolana, i rapporti sono spesso meno duraturi, pensate ad esempio alla normalità con cui parlano di divorzi e separazioni. Unitamente alla moltiplicazioni delle occasioni sociali di cui sopra e alla diversità culturale non vi sarà probabilmente difficile trovare un partner, la vostra sfida sarà piuttosto di mantenerlo. Quello è un problema che dipende solo da voi e dalla vostra personale storia. Aggiungo una nota per i più timidi, in Nord America sono molto diffusi i sistemi online (sia a pagamento che gratuitamente) che permettono di trovare partner con poco sforzo. Vi iscrivete al sito, mettete qualche foto, scrivete qualcosa di interessante nel vostro profilo e potrete entrare in contatto con persone che potenzialmente vi piacciono. E’ una sorta di agenzia matrimoniale fai-da-te ibridata con Facebook. Non ho esperienza diretta ma conosco qualche storia finita bene quindi immagino che il metodo possa funzionare.

Domanda: Come funziona il sistema canadese di incentivi all’immigrazione per specifiche professioni?

Questa domanda è legata solo al Canada per il semplice fatto che non conosco gli incentivi norvegesi. E’ possibile che esistano ma non ne so assolutamente nulla, quindi su questo vi posso fornire solo una risposta parziale.

Così come gli Stati Uniti, il Canada ogni anno si propone un tetto riguardante il numero dei migranti. Premettendo che il Québec ha il diritto di regolarmentare la propria immigrazione secondo criteri decisi esclusivamente a livello provinciale, in generale ogni parte del Canada può accogliere alcune migliaia di migranti ogni anno. In questo limite tipicamente non figurano i visti di ricongiungimento familiare, ma senz’altro quelli professionali. Esiste un gigantesco catalogo federale delle professioni, spesso pieno di definizioni antiquate o bizzarre che rende la categorizzazione spesso complicata o imprecisa (per intenderci, all’ingresso del Canada mi hanno chiesto se sapevo il Simula… un linguaggio inventato nel 1967 e non più usato, forse perchè l’hanno inventato in Norvegia? Mah!). Il catalogo viene utilizzato per incasellarvi in una specifica professione sotto la quale farete richiesta di accesso al visto. Ogni anno, quando vengono determinati i limiti, vengono anche determinati i bisogni nazionali in termini di categoria professionale ed è qui che potreste avere il vostro colpo di fortuna.

Quando fate richiesta di visto per lavorare infatti, il vostro profilo attraverserà una fase di analisi del mercato del lavoro da parte dell’ufficio immigrazione. Questa procedura è fastidiosa e lenta, in pratica il Canada vuole accertarsi che qualcuno abbia effettivamente bisogno di voi o che vi voglia assumere. E’ una tiritera che richiede un sacco di sciocchi documenti come prove originali della vostra laurea (la pergamena! il certificato per qualche motivo “non è sufficientemente credibile”) e lettere di lodi sperticate da parte del vostro datore di lavoro.

Oppure… il vostro profilo fa parte di una delle categorie professionali nella lista dei bisogni nazionali. In tal caso, non c’è nessun bisogno di verificare niente, la procedura sarà molto più spedita. Dovrete solo battervi con le decine di migliaia di altri potenziali migranti che hanno avuto la vostra stessa idea. Buona fortuna!

Domanda: Non sono più particolarmente giovane ma vorrei cambiare vita. Che chance ho?

Domanda difficilissima. In Italia siamo abituati a una strana parabola evolutiva dal punto di vista professionale in cui i più anziani evolvono sempre di più e guadagnano sempre più soldi. Ebbene, nel resto del mondo, non funziona così. In pressochè tutto il resto dell’universo, intorno ai cinquant’anni i guadagni cominciano a calare per il semplice fatto che non si può essere degli stacanovisti tutta la vita. Questo probabilmente vuol dire che noi ci godiamo la vita molto più di altre culture, ma è comunque una concezione diversa del lavoro.

Detto questo, in Norvegia ci sono enormi strutture sociali che si assicurano che tutti abbiano un adeguato sostentamento per la vita. In generale gli stipendi si trovano in una fascia alquanto ristretta: chi guadagna “poco” e chi guadagna “tanto” sono separati da pochi soldi. Un amministratore delegato guadagna dalle quattro alle cinque volte di un giovane laureato a stipendio minimo. Ne consegue che ricominciare una vita in Norvegia permette di sfruttare (in senso buono, per carità) questi meccanismi di copertura sociale e di condurre una buona vita.

In Canada invece siamo in Nord America, la terra delle opportunità e parimenti dell’ognuno fa per sè. Il Canada è meglio degli Stati Uniti da questo punto di vista, ma non aspettatevi un supporto in stile norvegese. Certo, se avete alle vostre spalle una grande esperienza che ha valore, potrete trovare un posto faraonico che vi permetterà di vivere agiatamente. Ma se questo non succede e vi aspettate di sopravvivere con il supporto statale, è davvero meglio rimanere dove siete. Giusto per dare un riferimento, l’amministratore delegato di cui sopra guadagna tranquillamente dalle otto alle quindici volte del giovane a stipendio minimo.

Domanda: Com’è il clima per gli artisti?

Bella domanda. Premetto che non sono un artista e non frequento artisti, parlo solo per percezione personale.

Nell’intera scandinavia prosperano designer e architetti, tipicamente fautori di linee semplici ed eleganti. Se questo è il vostro settore, probabilmente c’è posto per voi. Ci sono anche tante scuole di design in cui aumentare il proprio talento.

In Canada è più difficile identificare con precisione cosa è disponibile, perciò non saprei dare indicazioni specifiche. Qui a Montreal c’è una forte scena indie perciò credo che ci siano tante occasioni per i piccoli musicisti. Non so quanto siano buone dal punto di vista economico, ma di certo esistono.

Domanda: Questa è una domanda bonus. Come sono le ragazze?

Questa me l’hanno fatta in tanti, la regina di tutte le domande banali, mi viene chiesto costantemente in praticamente qualsiasi salsa da amici, parenti e sconosciuti. E va bene, rispondiamo pure :).

In Norvegia c’è una netta predominanza di bionde dato che la varietà genetica è alla fin fine limitata. C’è un certo look uniforme scandinavo che ho notato in altri post, perciò se siete un fan delle biondone alla Brigitte Nielsen, non dovrete cercare molto. Fate attenzione perchè in Norvegia ho notato di frequente quello che chiamo l'”Effetto Britannico”, ovvero adolescenti conturbanti che si trasformano in ciccione imbarazzanti appena compiono la maggiore età. E’ l’alimentazione che rovina le persone!

Il Canada è un paese di immigrati e quindi c’è molta più varietà, sia in termini razziali che culturali. C’è una forte componente asiatica agli estremi (Montreal e Vancouver entrambe hanno un centro città fortemente cinese) con una omogeneità maggiore verso i caucasici in mezzo al Paese. Con così tanto rimescolamento è difficile trovare un archetipo che ben rappresenti il Canada, ma ci sono certamente alcuni aspetti “tipicamente quebecois” che valgono indipendentemente dall’aspetto individuale come l’abbronzatura quasi ossessiva (al punto che il governo provinciale vuole regolamentare l’accesso ai centri estetici per i minori), i tatuaggi (comunissimi), i piercing (anch’essi) e la palestra. E’ un modo di decorarsi, suppongo, che rende Montreal una città alquanto superficiale. La cosa che mi sorprende sempre è la frequenza con cui questa superficialità venga rilevata dai locali. Il discorsino su quanto sia “immorale” questa città è talmente trito e ritrito che ha lo stesso valore di una affermazione profonda come “non ci sono più le mezze stagioni”.

Domanda: Per la verità io volevo solo sapere quali sono le più *****.

Non ve l’aspettavate la risposta filosofica eh? Ebbene, considerato che la bellezza è del tutto soggettiva, non credo di poter rispondere. O vuoi sapere quali sono i miei personali gusti? 🙂

E’ tutto per oggi, i saluti di oggi vanno a mia madre che ha pubblicato un nuovo libro. Congratulazioni vivissime!!!

Il carosello di recupero 2013

ottobre 4, 2013

Salve a tutti!

Eccomi qui, sono ritornato a scrivere sul blog. Mi ha scritto più di qualcuno per chiedermi che fine avessi fatto ma non ho avuto molto tempo di scrivere sul blog per via di tantissimi impegni professionali e personali.

Ora che gli impegni, pur sempre intensi, sono diminuiti, voglio ritornare a scrivere più assiduamente, anche per non perdere in alcun modo la pratica linguistica. Quando qualche giorno fa, parlando con un collega italiano, ho scritto “ugualianza”, mi sono reso conto di che cosa significhi non essere più a contatto costante con la propria lingua madre.

Poichè però l’ultimo post risale a parecchio tempo fa, oggi mi pare opportuno pubblicare il più classico dei caroselli miscellanei di oscenità capitatemi! La formula è la solita, un paragrafo o poco più ad evento, e di più non dimandaTe.

Gianni e l’Urlante – A fine Agosto sono rientrato in Italia, ma prima di passare da casa sono atterrato in Polonia per le nozze del Campione del Mondo di Pasticceria Siciliana, talmente famoso da non richiedere neanche che citi il suo nome. Dopo il volo intercontinentale da Montreal arrivo quindi nella uggiosa Francoforte sul Meno, la città che meno preferisco di tutta la Germania, e scopro con grande orrore che l’aeroporto più trafficato d’Europa non è dotato di finger per molti voli perciò siamo costretti al trasporto in autobus. Il finger, per i viaggiatori meno scafati, è quel tunnel mobile attaccato al terminale dell’aeroporto che permette ai passeggeri di salire sull’aeromobile direttamente da dentro l’edificio. La storica alternativa è la navetta che fortunatamente, grazie a forti pressioni della IATA (www.iata.org, oppure venitela a visitare al Quartier Generale qui a Montreal), andrà man mano scomparendo.

L’autobus è pieno di gente assonnata di varie nazionalità, io personalmente arrivo da un volo intercontinentale, insonne e con associato jet-lag di sei ore: sono le sette del mattino ma per me è l’una di notte. In un angolo ci sono due coreani con una bambina che non si regge in piedi dal sonno. Lì invece ci sono alcuni tedeschi da stereotipo: austeri, impassibili e soprattutto taciturni. La quiete regna.

Purtroppo, sull’autobus c’è anche Gianni.

Gianni è un uomo sulla trentina, abbastanza sovrappeso, di grande statura. Porta un marsupio estremamente fashion e ha una cartella da tecnico di qualche tipo. L’abitus e il modus tradiscono immediatamente la sua cultura nerd. Ha un bel telefono di ultima generazione, di quelli ultra piatti, grande come un mattone, probabilmente è un Samsung. Poco importa, ora Gianni è sull’autobus con noi e sente il bisogno di chiamare una donna per recarle la buona novella.

“Ciao, sono Gianni… si… si… sono arrivato.”

Una conversazione normale, comune, con un tono di voce quotidiano, il genere di comunicazione che abbiamo fatto tutti e che è del tutto ordinaria in un aeroporto. Ma non il suo proseguimento. Con un cambiamento repentino, Gianni alza la voce e comincia a ripetere, incessantemente, “Ti calmi? Ti calmi? Ti devi calmare! Si! Ho capito! Ti calmi? Ti calmi? Calmati!” concludendo la litania platealmente interrompendo la telefonata.

Il trasferimento in autobus dal terminale all’aeromobile dura qualche minuto. Gianni ripete il suo rituale tra le dieci e le quindi volte, tra lo stupore generale e la paura di avere sul volo un esagitato. Il volo per Varsavia andrà bene, ma chissà chi è che si doveva calmare. Me lo sto ancora chiedendo. Forse la mamma premurosa e paranoica di un nerd inerfervorato? Misteri della società moderna.

Gervaso, Andrea e la Russa – Ovvero una storia di maleducazione o di differenze culturali, a seconda della posizione dell’osservatore. Siamo di nuovo all’aeroporto di Francoforte sul Meno, stavolta la tratta è diversa, rientro dalla Polonia e vado verso l’Italia. Anche stavolta il trasferimento avviene in autobus, perchè evidentemente a noi italiani il finger proprio non vogliono farlo usare. Poco male, sono in perfetto orario, non ho fretta, mi sono appena mangiato un pretzel caldo della ottima panetteria dell’aeroporto (panificano DENTRO l’aeroporto, questa è la Germania signori), sono in pace col mondo.

Chi purtroppo non è in pace è il figlioletto di una signora tracagnotta con un passaporto russo in mano, fatto che mi permette legittimamente, seppur con abuso grafico, di chiamarla La Russa. Mentre La Russa parla con il suo amico Andrea dei fatterelli quotidiani più insignificanti, il piccolo Gervasino, di circa dieci anni, si lancia in una serie di commenti a voce altissima per attirare l’attenzione dei suoi accompagnatori. Chiamando infatti entrambi per nome deduco che è improbabile che ne siano i genitori, quindi limitiamoci a etichettarli così.

Gervaso è un ragazzino vivace e curioso, vuole assolutamente che tutti godano della sua perspicacia e quindi si assicura di urlare più a squarciagola possibile per attirare l’attenzione di La Russa che preferisce invece parlare del tempo.

“Guarda La Russa, c’è un aereo che decolla!!!” urla, il ragazzino. In assenza del più minimo cenno di riconoscimento, insiste: “La Russa, ti stai perdendo tutti gli aerei che decollano!!!”. Niente da fare, non sembra un argomento interessante.

“Guarda, trasportano le nostre valigie!!! Le valigie!!!” indica ancora, urlando ancora più forte. L’indifferenza dei suoi accompagnatori risulta adamantina.

Ciò che invece non risulta indistruttibile è la pazienza di tutto il resto dello stipatissimo autobus. Sul labiale di una signora italiana dall’aria estremamente seccata leggo un plateale “Basta” seguito da una serie di vituperi non tradizionalmente associati al vocabolario femminile classico.

La tortura dura svariati minuti, nell’indifferenza più assoluta da parte di La Russa e Andrea che permettono al piccolo Gervasino di strepitare, indicare e urlare tutto il tempo senza la minima reazione, neanche la più basilare esortazione al rispetto del prossimo, concetto che un bambino di quella età può comprendere perfettamente, SE gli viene spiegato.

Le porte dell’autobus si aprono e finalmente Gervaso si calma. Un signore si avvicina a La russa e con il savoir-faire che si può avere solo a Roma, così commenta: “A signò, nun sò a casa sua, ma a casa de’ noatri su’ fijo c’ha fatto du’ cojoni così”.

Seguono risate collettive.

Il Campionato del Mondo di Vodka Sportiva – Come citavo poco fa, sono stato in Polonia per la maestosa celebrazione del matrimonio del noto Campione del Mondo. Tutta l’avventura, anche per i suoi aspetti sociologici, merita un articolo separato che molto probabilmente scriverò, anche perchè il matrimonio polacco è molto diverso da quello italiano, ma oggi rispondo solo a una domanda: è vero che la vodka scorre a fiumi nel matrimonio polacco?

Ebbene la risposta è assolutamente si. Aizzato alla competizione dall’amico di sempre Antani, sono arrivato alla diciottesima vodka artigianale di patata. Le conseguenze sono state due: il giorno dopo è stato “un po’ difficile” e mia sorella, anch’essa presente al banchetto ma astemia, si ricorda parti del ricevimento che io non mi ricordo. Fortunatamente la saggezza del cittadino del mondo non mi ha mai abbandonato e, contrariamente a tutti gli altri invitati, non ho prenotato il volo di rientro per il giorno successivo al matrimonio.

Beata saggezza.

Per chiudere – Potrei concludere il post di oggi con una lista enorme di saluti, ma il mio pensiero oggi va esclusivamente a mia sorella a causa del malanno che la affligge attualmente. Non è necessariamente qualcosa di grave, ma potrebbe avere conseguenze, perciò attendo oltreoceano una risoluzione positiva di tutta la vicenda.

Studio libero!

Piccolo aggiornamento

settembre 15, 2013

Salve a tutti,

E’ un po’ che non scrivo quindi forse è meglio che mi faccia vivo!

Dunque, agosto è stato molto frenetico per motivi professionali, gli ultimi giorni del mese li ho passati in Polonia e in Italia per motivi personali (ero al campionato del mondo di bevitori di Vodka, ho anche vinto), quando sono tornato qui a Montreal mi sono fatto il Lasik per correggere la miopia e ancora non ho recuperato del tutto. Al momento mi reca parecchio fastidio stare di fronte al PCa guardare del testo, quindi non ho ancora scritto niente.

Ma ho un paio di articoli in serbo!

A tra poco 😉

Lo chiamavano Zibù

luglio 25, 2013

Salve a tutti!

Oggi condivido con voi qualcosa di incredibilmente banale ma che mi ha colpito per un semplice motivo: ormai pensavo di capirlo, il quebecois!

Tutto comincia due settimane fa quando comincio a lavorare nel mio nuovo team. Ebbene si, non lavoro più con assassini, acrobati, lanciatori di coltelli e spingitori di cavalieri, bensì con hacker impazziti, il grande fratello e i telefoni intelligenti più furbi del mondo. Spero che abbiate capito di che titolo si tratti, perchè non è rilevante per la storiella odierna.

Arrivo nel nuovo team di venerdi pomeriggio e per evitare di scioccare il gruppo presentando un nuovo misterioso manager di cui nessuno sa nulla e che senz’altro è un pazzo scatenato, mi faccio silenziosamente spiegare chi sono i vari membri.

Rimango impressionato dalla varietà della squadra e dalla grandissima passione di questi programmatori che credono profondamente in quello che fanno e che dimostrano con grande dedizione di voler fare un ottimo lavoro. Ci tengo a precisare che, una volta tanto, non c’è alcuna ironia in quello che dico: sono rimasto davvero sbalordito dalla tempra di queste persone.

La squadra è piuttosto variegata, abbiamo alcune combinazioni assolutamente classiche della industry come Britannico + Occhiaie + Puzza di piedi oppure Ammerigano + Bodybuilder + Nonc’èproblema, ma ci distinguiamo per la presenza di una combo incredibilmente rara, qualcosa che ha dell’incredibile: Donna + Cinese + Ottimo Inglese + Programmatore. Si tratta di una creatura rarissima, pressochè leggendaria, alla pari di Italiano + Politico + Onesto + Competente.

Meravigliato da cotanta magnificenza, decido quindi di farmi spiegare dal manager di turno quali sono i nomi di questi straordinari individui. Cominciamo quindi ad aggirarci tra le scrivanie bisbigliando per non disturbare nessuno, raggiungendo prima di tutti il bodybuilder ‘mmerigano: il mitico Gargiulo (i nomi come al solito, sono tutti inventati di sana pianta). Simpatico, dall’aspetto massiccio, come tutti i ‘mmerigani per lui niente è un problema, un po’ di ottimismo e olio di gomito risolvono qualsiasi problema.

Accanto a lui siede un signore francese dall’aspetto distinto, una sorta di clone del commissario Montalbano che però non parla in dialetto. Al contrario parla un francese incredibilmente standard e poichè finirà per sedermi accanto, sarà meglio non irritarlo. Scoprirò più tardi che, come me, è un grandissimo fan del comico marocchino, naturalizzato francese, Gad Elmaleh. Se non lo conoscete e parlate francese, cercatelo su YouTube e fatevi quattro risate.

Subito di seguito si trova la programmatrice cinese Mimì, di città impronunciabile (qualcosa che suona tipo Chiuniuioniauiananug nella provincia di Guinguonuaaaauong). E’ particolarmente minuta quindi quando si mette accanto a Gargiulo l’effetto è abbastanza comico. Lui è enorme, lei è uno scricciolo. Se lui si sbaglia, le si potrebbe sedere sopra senza accorgersene.

L’uomo che segue si rivelerà l’eroe del gruppo, colui che può risolvere qualsiasi problema ma che lavora una quantità di tempo del tutto malsana: il mitico Franchino. Franchino non solo ci può portare in un posto eccezionale che conosce solo lui, ma ci grazia anche coi suoi effulvi caseari: è talmente bravo che lo graziamo volentieri.

Per ultimo, abbiamo l’eccezionale programmatore francese che dà il nome al post di oggi. Eccezionalmente infatti oggi violerò la regola sulla trasposizione arbitraria dei nomi, per far capire la mia confusione è necessario riprodurre esattamente ciò che è successo.

“Chi è lui?”

“Lui si occupa di <una serie di feature particolarmente interessanti>, è francese”

“Okay, quindi primariamente francofono, non c’è problema, come si chiama?”

“Si chiama Zibù.”

“…eh?”

“Si, Zibù.”

“Ma che razza di nome è Zibù?”

Ho cercato di interpretare questo nome secondo qualsiasi bizarra fonetica mi venisse in mente a quel momento ma vi giuro, questo fantasioso nome mi risultava del tutto misterioso.

“Zibù… Zibù… Ma è francese?”

“Si si, è francese”

“Ma che razza di nome è?!”

“Mah non lo so, qua non si usa molto, è un nome da francesi.”

A questo punto mi sono cominciati a venire gli orrendi dubbi. Il manager con cui stavo parlando viene da vicino Montreal e di conseguenza parla la sua versione speciale del francese. Vuoi vedere che “Zibù” non si chiama PROPRIO così?

Ormai era la fine della giornata quindi non sono riuscito a vedere la lista dei componenti per iscritto, ma lunedi mi presento al team e con un pretesto chiedo a tutti quanti il proprio nome nuovamente. Finalmente potrò rivelare il mistero di questo nome che mi ha fatto scervellare tutto il weekend!

“Ciao, tu sei…?”

“Piacere, io sono Thibauld.” (quindi: “Tibò”)

Avete presente quando vivete quei momenti di rivelazione praticamente mistica in cui qualcosa di assolutamente oscuro e imperscrutabile vi risulta improvvisamente chiaro e limpido come l’acqua? Il nirvana della conoscenza si spiegava di fronte ai miei occhi in tutta la sua lucentezza.

Ma come si fa a passare da “Tibò” a “Zibù” dico io?! Stupidi accenti…

Saluti di oggi a Nexnova per il suo compleanno :D.

Mi spiace, lei non abita più qui

luglio 2, 2013

Salve a tutti!

Oggi condivido con voi una stupidaggine burocratica che mi è capitata proprio questa settimana. Spero che sia utile agli altri migranti per evitare di trovarsi nella stessa (ridicola) situazione.

Sono finalmente diventato residente permanente del Canada, quindi in questi giorni sto sbrigando tutte le pratiche burocratiche associate con tale situazione. Per informazione generale, è necessario ottenere un nuovo numero di assicurazione sociale (il SIN, si ottiene presso un qualsiasi centro Service Canada) che non cominci per nove (sono quelli temporanei), una nuova tessera dell’assicurazione sanitaria (presso l’ufficio RAMQ più vicino) e dovrete notificare al vostro datore di lavoro il nuovo SIN. Nulla di particolarmente complicato.

Mi reco quindi Giovedi presso Service Canada per il nuovo SIN. Mi sento alquanto diligente, ho portato con me la lettera di conferma della residenza permanente e il mio certificato di selezione del Québec… peccato che non abbia il passaporto, necessario per l’emissione del SIN permanente! Torno quindi a casa (per fortuna abito vicinissimo… meraviglie della casa in centro), prendo il passaporto, torno di nuovo a Service Canada e senza troppi indugi mi emettono un codice fiscale nuovo di zecca e del tutto permanente.

Questa è stata piuttosto facile!

Venerdi mattina è dunque il momento di rinnovare l’assicurazione sanitaria. Piove in maniera torrenziale ma per fortuna l’ufficio della RAMQ è letteralmente dall’altra parte della strada, quindi spero di non bagnarmi troppo.

Nulla da fare, nonostante il mio robustissimo ombrello Samsonite, arrivo nell’ufficio con i pantaloni veramente fradici. La sensazione di fastidio è davvero enorme e considerato che alla RAMQ tipicamente bisogna fare code di un’ora e passa, non sono contentissimo. Sentendomi però ulteriormente diligente rispetto a Giovedi, ho portato anche il passaporto, e questo mi conforta.

Allo sportello dell’accoglienza della RAMQ (dove, tra parentesi, trovare qualcuno che ti serva in inglese richiede una dose enorme di fortuna, non che mi serva ma lo dico per riferimento) non mi dicono veramente granchè. Io mi presento dicendo che sono diventato residente permanente e che non so se, avendo già rinnovato l’assicurazione sanitaria due mesi fa durante il rinnovo del visto, devo rinnovarla nuovamente. Il panzone baffuto che mi “accoglie” bofonchia qualcosa e mi da un biglietto per lo sportello Prolongation, ovvero proroga.

Mah… evidentemente bisognerà chiedere il rinnovo.

Attendo pazientemente e già prefiguro di dovermi fare un’ora nella deprimente sala d’attesa stile anni ’80 della RAMQ. I pantaloni bagnati mi danno già fastidio e il fatto di non avere capito esattamente che cosa devo fare mi irrita ulteriormente.

Ma ecco che la buona stella mi sorride! Dopo soli due minuti, l’ufficio proroghe è libero! Evviva! Tra cinque minuti sarò a casa e potrò cambiarmi!

Vado dunque allo sportello e spiego la mia situazione. L’impiegato comprende perfettamente e quindi comincia a redarre tutti i documenti necessari per l’assicurazione sanitaria: effettivamente è necessario rinnovarla. Poco male, vorrà dire che dovrò sborsare di nuovo quei fastidiosi dieci dollari per la foto digitale che ti fanno in loco (ridicolo, vero?), già pagati due mesi fa.

I documenti sono pronti, quindi bisogna soltanto verificare alcune formalità. Ecco come sono andate le cose…

“Bene, ha qui la lettera di conferma della residenza permanente?”

“Certamente, eccola qui.”

“Il passaporto, per favore.”

“Eccolo, guardi che il visto è sepolto in mezzo ad altri mille visti di ingresso del Canada e degli Stati Uniti, è quello lì.”

“Ah bene grazie. Mi serve anche il suo CSQ.”

“Oh… si dovrei avercelo… Si, ce l’ho, è qui.”

“Ottimo. Bene è tutto in ordine.”

“Quindi devo solo rifare la foto?”

“Certo. E presentare una prova di residenza.”

A questo punto l’ho guardato di traverso. Ma come sarebbe a dire una prova di residenza???

“Non ho capito scusi, la conferma di residenza permanente me l’avete mandata a quell’indirizzo… non vale?”

“No, la prova di residenza è una bolletta recente della luce, del gas, della tv, del telefono, veda un po’ lei.”

“…ma come? E i documenti canadesi che già ho, che mi avete mandato a QUESTO indirizzo non valgono???”

“Eh no, perchè lei adesso è residente permanente, quindi le prove da residente temporaneo non valgono.”

“Quindi… mi faccia capire bene… allora, io sono residente in Canada da tre anni, e vi ho già dato un indirizzo che voi avete qui nel dossier da tempo.”

“Si…”

“Che è perfettamente valido se sono residente temporaneo, però nel momento in cui sono residente permanente allora no, non vale più, e volete una bolletta della luce???”

“Esatto! Vedo che ha capito!”

Di fronte alla regola più balzana che mi sia mai trovato ad affrontare, provo ad aggirarla in maniera intelligente. Il problema che ho è che io non ho neanche una bolletta cartacea, qua arriva tutto in digitale! E questi cari signori, vogliono vedere il pezzo di carta! Comincio quindi a frugare nel telefono, ma anche lì ci sono problemi…

“Una versione digitale di una bolletta va bene?”

“Si, certo.”

“Benissimo, gliela posso inoltrare via email, la stampa e siamo a posto?”

“No, non gliela posso stampare io. Le faccio firmare una dichiarazione giurata in cui lei afferma di abitare a quell’indirizzo e lei poi ci manda un fax con la bolletta.”

Mi stava cascando una mascella, ma come un fax! Un fax! Nel 2013! Ma esistono ancora i fax? Chi li manda? Dove? A chi? Mi stava venendo da ridere per l’idiozia della situazione. E non è neanche finita qui!

Un barlume di speranza arriva quando finalmente scopro che come prova di residenza va bene anche la fattura del comune di Montreal che ti chiede di pagare la tassa di proprietà sul tuo immobile. Mi viene inoltre comunicato che posso anche portare il documento di persona. Tutto questo è doppiamente ottimo perchè è l’unica bolletta cartacea che ho, evito così di dover trovare un modo di stampare la bolletta e di dover cercare un fax (sapete dove si trova un fax? in farmacia! Ovvio, no?).

Veniamo alla ciliegina sulla torta, la famosa dichiarazione giurata. Il cortese impiegato mi presenta un foglio in cui sostanzialmente giuro assolutamente di abitare dove tutti e due sappiamo perfettamente che io abito. Non ho ovviamente alcun problema a firmare una cosa del genere, ma non posso farlo. E perchè no?

“No no, la deve leggere.”

“Ma la sto leggendo, ora la firmo.”

“Non ha capito. La deve leggere ad alta voce, se no non vale.”

A questo punto mi aspetto soltanto che mi chiedano il lasciapassare A38 di Asterix, perchè più ridicola di così la situazione non può diventare. Leggo quindi ad alta voce la dichiarazione giurata in francese e finalmente ottengo il plico necessario per il rinnovo dell’assicurazione.

Che fatica!

Procedo quindi a farmi la foto, attraverso di nuovo la strada infradiciandomi completamente, salgo a casa, prendo la fattura del comune, riattraverso la strada bagnandomi da capo a piedi, riconsegno il plico firmato appena dieci minuti prima e lo consegno allo stupito impiegato che così commenta: “Ma come, ha aperto il dossier solo dieci minuti fa ed è già qui?!”.

Ma mannaggia a voi, va!

Saluti di oggi alla cortese RAMQ e alle sue bellissime regole del piffero. Saluti più seriosi al Campione del Mondo Domanico, che ieri è giustamente convolato a nozze con Emiglia :). Tanti auguri, mi sarebbe piaciuto essere lì con voi!